La nostra vita sociale è caratterizzata dalla finzione, imprinting genetico che la cultura
rende più forte e pervasivo. Mentre il vecchio contadino è grezzo, aspro e accettabilmente sincero, la società contemporanea, quella dei disvalori, edonista e consumista impone la maschera, anzi le maschere che la persona cambia a seconda della convenienza. La bella donna non accetta di essere soggetta ai segni del tempo e ricorre a tutti gli artifici per apparire quella che non è. Indossa cioè la maschera della giovinezza. Anche i tre vecchi protagonisti della bella commedia di Gino Rocca “Se no i xe mati no li volemo”, di fronte alla scelta se perdere i benefici di un testamento bizzarro, o continuare, malgrado l’età e gli acciacchi, a ripetere le bricconate giovanili e simulare un’allegrezza carnevalesca, non riescono ad uscire dallo stereotipo e con penosa sofferenza continuano a indossare la maschera dei “matti”.
E’ difficile entrare nella psicologia dei personaggi, capire le motivazioni che li spingono ad
indossare le vesti di tristi amare marionette: le difficoltà economiche, il doloroso ricordo del
figlio morto, la difficile situazione familiare, la solitudine. E’ il tempo del disincanto, la fine
delle illusioni, il crepuscolo di una vita nei giorni scanditi sulle note dell’era fascista.
La risata piena si vela di tratti malinconici e tristi, i personaggi rimangono comici ma
diventano amari e patetici. Il dialogo, articolato abilmente, oltre alla forza poetica
sviluppa una comicità satirica che smussa la malinconia di fondo pur nell’epilogo
drammatico che sfocia nella tragedia. Belle e funzionali le scene e i costumi di Ivan
Stefanutti e le musiche di Massimiliano Forza. Bravissimi gli attori (ricordiamo i
principali: Virginio Gazzolo, Giancarlo Previati e Lino Spadaro) anche se, a mio avviso,
vanno oltre le righe nella caratterizzazione dei rispettivi personaggi sia nella recitazione,
sia nelle posture.