In questa riduzione del capolavoro omerico non c’è il mare. Ad evocare il mare solo un’enorme nave che è anche casa, rifugio, porcile. Evidente ed anche un po’ scontato che il viaggio dell’Odissea sia l’avventuroso viaggio per mare della nave di Ulisse sbattuta a destra e a manca per il Mediterraneo. Ma in realtà questo viaggio non occupa che cinque dei 24 capitoli dell’opera. La sua forza mitica e visionaria è enorme; e la sua valenza metaforica talmente potente che un freddo scrittore irlandese come Joyce ha potuto efficacemente trasformarlo in una passeggiata metropolitana nella sua dantesca Dublino.
La riduzione, divisa in tre capitoli distinti, anche dal punto di vista stilistico, ruota con pari dignità intorno ai tre componenti della famiglia: Telemaco, Ulisse e Penelope, ad ognuno dei quali è attribuita una sua specifica “odissea”, un suo personale viaggio esteriore ma anche e soprattutto interiore.
E se il viaggio di Telemaco alla ricerca del padre, o meglio di un padre, provvisoriamente sostituito da un Mentore, è chiaramente un viaggio di formazione e di maturazione e quello di Ulisse alla ricerca della patria perduta è un viaggio continuo di ricomposizione e scomposizione dell’identità, quello di Penelope è forse il più sottile e complesso. Forse il più poetico perché è il viaggio tra i sentimenti di una donna, astuta e fedele, razionale e passionale, che tra le quattro mura di casa patisce le stesse peripezie dell’illustre marito.
Un Omero epico e lirico, antico e moderno, riletto attraverso gli occhi di Dante e di Joyce ma profondamente fedele alla sua immortale poesia.
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