Antonio Tarantino in “Gramsci a Turi” guarda all’Italia nel delicato passaggio dal fascismo alla Repubblica. Il
drammaturgo, oltre a veicolare la lezione d’impegno civile e politico di Antonio Gramsci, indaga l’agonia, personale e politica dell’intellettuale comunista costretto ad un carcere durissimo tra il disprezzo dei compagni di prigionia e i complotti dei compagni di partito. Gramsci è un uomo solo che combatte contro la malattia che, in pochi anni, lo condurrà alla morte, contro un regime oppressivo, contro tensioni, invidie e malignità di altri compagni (Bordiga) che si smarriscono in analisi e progetti deboli. Gran parte della pièce è dedicata alla parodia del regime nei deliranti discorsi dei suoi rappresentanti (Capo della polizia, guardiani, ministri, ispettori) interpretati da diversi attori che in fotocopia e in modo ripetitivo fanno scadere i personaggi in burattini (in realtà burattini sono nelle mani del Mangiafuoco di turno). L’eccessiva enfasi nella recitazione, la platealità gestuale e la monocorde iterazione alla lunga annoiano malgrado l’ottimo utilizzo di video/immagini dell’epoca e di musiche funzionali. Gramsci lo si vede soltanto nella seconda parte una prima volta con Sraffa e una seconda con la cognata Tatiana Schucht negli ultimi momenti di una vita caratterizzata dalla solitudine, dall’amarezza e da un pessimismo rabbioso.
Tarantino racchiude la tragedia di un uomo in un ambiente ricco di suggestioni, ironico e vagamente surreale. I trenta personaggi sono interpretati da sette attori che indossano di volta in volta maschere in lattice diverse. Pupazzi nevrotici senza personalità opportunisti irrazionalmente votati all’ubbidienza al regime. Gli ottimi, impegnatissimi attori sono Michele Maccagno, Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Pasquale Di Filippo, Marco Bonadei, Giuliano Scarpinato, Daniele Sala.
L’elegante regia di Daniele Salvo e le belle scene di Gianluca Sbicca ricordano le realizzazioni del maestro Ronconi.