Breve, ma scalpitante di intensità emotiva in crescendo, Fantasmi è uno spettacolo da vedere, un surreale e onirico viaggio illuminante, sull’aldilà, sulla vita, sull’attesa della morte ineluttabile, e la morte stessa, fra disperazione, rassegnazione o tenerezza. Si tratta di un dittico, un montaggio ad incastro due atti unici di Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca e Sgombero, dei Colloqui con i personaggi e il testo “collante” Totò e Vicè di Franco Scaldati: uno spettacolo costruito con piena ed estrema sensibilità narrativa e interpretativa da Stefano Randisi ed Enzo Vetrano, che registi, autori e attori, vengono affiancati dall’efficacissima presenza di Margherita Smedile. La riscrittura drammaturgica è sempre rispettosa, andando a ricreare una totale unità fra i diversi testi che vengono abilmente incastrati in un crescendo di pathos. E fin da subito. Enzo Vetrano si aggira, già personaggio, già Uomo dal fiore in bocca, fra le poltrone di platea, spia, scruta, osserva. Margherita Smedile, la moglie che non riesce a rassegnarsi alla sua morte, lo spia da lontano. Si guardano, si incrociano con lo sguardo con fare silenzioso, sofferente. Poi scompaiono ed è Stefano Randisi ad aprire la serata con gli incisivi Colloqui dei personaggi, è Margherita Smedile la bravissima protagonista di Sgombero, che con fisicità scomposta, quasi involgarita tutta da ammirare, si cala nel ruolo di una donna disonorata e indurita, perduta fra ricordi struggenti e rabbia malcelata, divisa fra il perdono e la perduta dolcezza materna. Sullo sfondo il padre morto da comporre per la sepoltura. Ma il cerchio si chiude e alla morte succede l’attesa angosciante e disperata, mal sopportata dell’ineluttabile fine. È il momento de L’uomo dal fiore in bocca con Vetrano che veste i panni del muto astante che si aggirava in platea. Condannato alla morte, interloquisce con fare prima dimesso, poi stizzoso, con il pacifico Randisi, l’uomo che ha perso il treno, tutto preso dalle sue sciocchezze quotidiane, lontano fino a quel momento dal dramma dell’uomo condannato alla morte, disperato perché troppo legato alla vita anche in tutte le sue durezze. E fra un atto e l’altro, fra un dramma e l’altro, ecco consumarsi la tenerissima versione di Totò e Vicè di Franco Scaldati. E qui Randisi e Vetrano si trasformano in irriconoscibili, dolcissime tenere figure di vagabondi alla ricerca dell’amicizia, due anime candide che neppure la morte riesce a separare. Il dialogo di Totò e Vicè nella toccante interpretazione dei due registi attori, versatili e diversissimi, diventa lunare e delicato e intenerisce il cuore con l’infantile gioco al nascondino finale, perfetto omaggio all’Aspettando Godot di Beckett (con il sottile alberello sul fondo). La scena è nuda, quasi spoglia, occasionalmente illuminata dalle ombre, con un lungo binario su cui scorrono la vita e la morte, i rumori e i fantasmi, o gli uomini in attesa della morte, inevitabile. Fantasmi è uno spettacolo intenso e onirico che lascia gradualmente assaporare con ostinata certezza l’amabilità della vita, l’attaccamento alla vita, nonostante le sue durezze e i suoi drammi.