Tre monologhi ispirati all’opera omonima di Francis Bacon: è questo lo spettacolo che ha consacrato Manfredini come uno degli artisti più interessanti della scena contemporanea. Da sempre impegnato in un rigoroso ed eccentrico percorso di ricerca teatrale, l’autore coglie, sulla scia di Bacon, la sofferenza di tre personaggi “ultimi” che patiscono in modi differenti l’alienazione. Ma con un essenziale rovesciamento di prospettiva: quel che c’è di assoluto, di irrimediabile nell’angoscia del pittore inglese si risolve nella speranza di un affetto, di un contatto, di una condivisione. Tant’è vero che i tre monologhi sono in realtà dei dialoghi in cui il pubblico assume la parte dell’interlocutore necessario, prima confidente, poi destinatario di una richiesta di solidarietà e infine oggetto d’amore perduto. Il primo studio è la fotografia di una sofferenza profonda, vissuta però con una leggerezza che appare l’unica possibile difesa. Da La notte poco prima della foresta di Bernard-Marie Koltès proviene invece il secondo momento, appassionata e tragica richiesta di aiuto di un immigrato nella notte metropolitana. Alla trama di Un anno con tredici lune di Fassbinder si ispira la storia finale, ritratto di un transessuale alla resa dei conti con il bilancio di una vita. Tre testimonianze della necessità e dell’impossibilità del contatto umano – ironiche, crudeli e poetiche. Come la battuta del primo personaggio di Manfredini: “Se siamo tristi abbiamo i nostri motivi; siamo motivati.”