non è, come si legge, una brutta storia di pedofilia. La pedofilia è sempre “brutta”, ma quella raccontata da Harrower è (almeno in parte) riscattata da un sincero sentimento amoroso. Amore che, sia chiaro, non ha funzione catartica ma, dell’atto criminale cancella la brutalità, la perversione, la violenza. Una ragazzina dodicenne (Una) si innamora follemente di un uomo trentenne (Ray) che cede alle assillanti attenzioni di lei e viene coinvolto in una passione amorosa vera quanto assurda. I due fuggono e in una cittadina inglese si perdono, si cercano, ma non si trovano. L’uomo viene denunciato dai genitori della ragazza e sconta sette anni di carcere. Di lui poi si perdono le tracce.
La commedia inizia con la comparsa improvvisa e imprevista di una giovane donna in uno scantinato dove Ray, che si è rifatto una nuova vita, lavora. E’ Una che, malgrado siano passati 15 anni, non riesce a metabolizzare quella storia dolorosa. La delusione e la rabbia per quello che lei ritiene un inganno subito e l’umiliazione patita in tanti anni agli occhi dei vicini, hanno tenuto viva la voglia del riscatto. Una sottopone Ray, che dapprima nega di conoscerla, a un’incalzante serie di domande e accuse ed è questa “inchiesta” che porta il pubblico a scoprire poco alla volta quel che allora è avvenuto. Un’analisi dolorosa con esplosioni di violenza che alla fine viene stemperata da un disperato tentativo di riconciliazione che sembra addirittura preludere alla rinascita del loro trascorso amore. Ma un’inattesa entrata in scena della giovanissima figlia di Ray riapre le ferite del passato. Harrower gioca sull’ambiguità, Una e Ray infatti danno due diverse versioni del passato, quindi due verità dell’amore e della sua fine improvvisa. Su quel ring dove si affrontano c’è un continuo scambio di ruoli tanto da rendere difficile capire chi sia la vittima chi il carnefice. Tutta la vicenda rivive esclusivamente tramite le loro parole, non ci sono azioni, solo discorsi, capaci però di ricreare una storia a due facce.
Harrower infatti accompagna tutto il racconto lasciando il campo alle parole che assumono sfumature ogni volta diverse.
Il regista Lluis Pasqual tesse una sottile tela che unisce tutti gli elementi senza farsi notare, evita invenzioni o trovate particolari, a sicuro vantaggio del realismo dello spettacolo.
Sempre a capo chino, impacciato nei movimenti, Massimo Popolizio incarna perfettamente il suo sconvolto, inerte personaggio mentre Anna Della Rosa sfoggia un’ampia gamma di sfumature, dalle pulsioni d’odio, al grido, al pianto trattenuto, all’abbandono amoroso.
Applausi!
Dramma coraggioso, oscuro e intenso