Non si può certo dire che il Romeo e Giulietta diretto da Serena Sinigaglia, sia uno spettacolo convenzionale. Assolutamente no. Ma che sia un Romeo e Giulietta di straripante energia e vitale sensualità, questo assolutamente sì. Questo nuovo allestimento della celebre tragedia scespiriana, è una ripresa dello spettacolo originale che ha debuttato proprio al Teatro Valle di Roma nel 1998 nell’ambito della rassegna Maggio cercando i teatri e a distanza di 15 anni, la regista (fondatrice nel 1997 dell’ATIR Associazione Teatro Indipendente per la Ricerca) ha deciso di festeggiare con la sua compagnia il lungo sodalizio artistico con il loro cavallo di battaglia, da rivedere, scoprire o riscoprire. Scopo della compagnia, qui in parte rinnovata e a cui il Valle dedica l’ultima monografia di stagione, è sempre stato quello di promuovere un “teatro popolare di qualità” spaziando dai classici ai contemporanei. In Romeo e Giulietta il contrasto comincia subito, con i Montecchi (i servitori, dal linguaggio popolare) vestiti di bianco e i Capuleti in nero: lo scontro c’è stato e ci sarà ancora inevitabilmente. Ma la vicenda dei due sfortunati amanti di Verona procede con essenzialità, non senza qualche scossone e qualche licenza fra i ritmi scatenati delle percussioni dei tamburi o dei gong alla rapidità con cui le parole scivolano via. Nulla rimane di quanto di tradizionale si è già visto in Romeo e Giulietta, eccezion fatta forse solo per l’età dei protagonisti, giovani come necessario.
Il testo (su traduzione di Salvatore Quasimodo, qui riadattato e in parte rimontato) si spoglia della sacralità tradizionale per trasformarsi in un linguaggio pur sempre magnificamente aulico che parla ai giovani (che riempiono la platea) e che apprezzano la vitalità di uno spettacolo a tratti quasi esagitato, a tratti quasi rocambolesco, a tratti comico, ma irresistibilmente fresco e nuovo. In realtà, dopo una prima parte molto chiassosa e vivace, la regista riesce a imprimere repentinamente un registro tragico, inevitabile evoluzione della vicenda, senza stridere con le scelte stilistiche precedenti.
Ciò che appare molto evidente è che per la Sinigaglia, Romeo e Giulietta sono semplicemente due ragazzi alla scoperta dell’amore e del sesso, viscerale e totale, timidi e impacciati al loro primo incontro che fanno scivolare via i più celebri monologhi con semplice spontaneità, quasi scomposti o goffi nelle loro emozioni. Freschi e veri, come due ragazzi qualsiasi. Inno alla vitalità e all’ebbrezza dionisiaca dell’amore che ottenebra anche la ragione, la messinscena è all’insegna della sfrenata vitalità (proprio come Romeo e Giulietta) proprio come l’amore dei giovani protagonisti, trattenuta da una regia dinamica che trattiene a stento le acrobazie di alcuni interpreti dall’incontenibile fisicità. Muta incessantemente come gli attori in scena, la parca scena minimalista di Maria Spiazzi che lo spettatore scopre fin da subito a invadere i palchi di platea: sono semplice teli colorati appesi con due lunghissime corde a celare parte del palco e al centro la scena deputata dell’azione, incastonata da un lungo telo bianco che avanza e indietreggia opportunamente. Ma non c’è null’altro in una scena privata d’inutili oggetti: è la costante presenza, ora reale ora dissimulata dei giovani attori, tutti molto bravi che non si risparmiano mai (con una menzione particolare alla Nutrice e a Frate Lorenzo) a riempire la scena. È un puro teatro d’attore in cui la fisicità e il logos contano sopra ogni altro elemento, senza gli inutili vezzi delle scene o dei costumi. Applausi indistintamente tributati a tutti gli interpreti per un debutto di successo. In scena fino al 19 maggio, ma la monografia di scena dedicata a Serene Sinigaglia e alla Compagnia Atir prosegue con la conferenza spettacolo Di a da in con su per tra fra Shakespeare, replicata mercoledì 11 maggio e con il progetto Incontri con epoche straordinarie, trilogia in scena lunedì 16 maggio.