Uno spettacolo fatto di parole, potenti, coraggiose, tragiche, lette come si legge un testo sacro, per avere in ogni momento la verifica del valore della parola scritta. Dai fogli emerge il carisma di un uomo che ha segnato la storia politica italiana nel periodo della Prima Repubblica, Bettino Craxi. Una notte in Tunisia non si propone di fare una riabilitazione politica, non si esce dal teatro indottrinati. Vitaliano Trevisan, da “Route El Fawara, Hammamet” di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi, è riuscito far emergere l’epica dalla contemporaneità: Craxi è ritratto come un combattente ferito nel corpo, corroso dal cancro, e nello spirito, tradito dai compagni, prima ospiti assidui della sua villa e poi ipocriti opportunisti. Il discorso trascende la contingenza politica e si fa testamento morale, in cui ciò che conta è rimanere fedele a se stessi, conservare una libertà che equivale alle vita. La trama dello spettacolo – la moglie che vorrebbe far curare il marito in Italia scambiando Bettino col fratello per eludere la Corte di Giustizia – è sottilissima e non preponderante rispetto ai discorsi che si dipanano come in una sorta di diario. La regista Andrée Ruth Shammah, che ha conosciuto personalmente Craxi, si è sottoposta ad un lavoro interiore per superare quanto di più personale potesse affiorare dai suoi ricordi e per far sì che emergesse la parola in un’atmosfera quasi sospesa, dove aleggiano lo spirito di una grandeur passata e lo spettro di una morte annunciata. Determinante per la riuscita dello spettacolo è senz’altro l’interpretazione di Alessandro Haber, carismatico, inquieto, lontano da facili sentimentalismi o da un tono nostalgico, e invece tonante, implacabile, granitico, camaleonticamente craxiano nella voce, nei passi claudicanti ma decisi, nello sguardo fiero, nei gesti sicuri, per consegnare al pubblico un protagonista perfettamente coerente con le proprie dichiarazioni, con “una morte vicina e la passione della vita come malattia” (note di regia).
Sulla scena anche Martino Duane, Pia Lancillotti e Pietro Micci.
Fino al 22 maggio al Teatro Quirino di Roma
Daniela Olivieri