Al primo piano di un fascinoso palazzo della Berlino unificata, dove sopravvive ancora l’atmosfera decadente e ferma nel tempo di una parte della città, sottoposta nel passato alle precise regole dello spazio ridisegnato dal socialismo reale ed ora assimilata ai nuovi orrori del capitalismo, Paula esercita la sua attività di psicanalista. Daniel, un giovane disadattato che abita l’ultimo piano dello stesso palazzo, con una scusa, suona alla sua porta. Inizia per i due un viaggio nei momenti e nei luoghi del loro sentire; un amicizia che attraverso dispetti e contrasti ma anche grandi complicità, permette loro di superare le convenzioni ed i limiti del rapporto tra il terapeuta ed il suo paziente ed esplorare con modalità del tutto nuove quelli che sono ontologicamente i motivi della disperazione dell’isolamento e della paura. Due generazioni a confronto attraverso un intero anno di incontri, che, grazie al miracolo del palcoscenico ed a una scrittura sostenuta da un registro scarno, allusivo e spesso ironico, fanno si che l’azione si contragga in poco più di un ora di teatro essenziale, sintetico, icastico.
Due modi di intendere la vita che confluiscono verso un unico momento liberatorio che incanta e seduce per la sua semplicità.
Questo è “Camminare sul fuoco”(Feurlanfen), pièce della giovane e celebratissima drammaturga Berlinese Ulrike Freising. Un copione che sfugge ad ogni formalizzazione stilistica, e non solo per lo stile tutto personale con il quale viene raccontata la storia.
La scena spoglia richiama gli intenti di Grotowski, di un teatro minimalista ed in qualche modo il rigore formale dello studio della psicanalista dove avvengono gli incontri, si riflette in una scelta espressiva asciutta, naturalistica, più vicina a quella di un certo cinema. Come anche volutamente non teatrale è l’uso delle luci, che creando intervalli fantastici, assolvono e dissolvono, sottolineano lo scorrere del tempo ed i passaggi tra antiche dolorose memorie e momenti che vivono di quell’istante esatto in cui esistono, in cui sono reali, prima di perdersi ancora nell’oblio della memoria, in quella temporalità tutta mentale e cerebrale o nei fatti, ora inconsistenti ora significativi, di un presente sospeso e di un futuro impossibile. Ed allo stesso modo viene usata la musica nei delicati passaggi tra luci ed ombre, tra passato e presente: Le più famose canzoni dei Beatles reinterpretate in chiave barocca dal genio musicale di Peter Breiner nelle stile di Vivaldi, Händel e Bach.
Sulla scena due generazioni di attori a confronto: Alessandra Vanzi, attrice simbolo del teatro di ricerca, tra i fondatori della “Gaia Scienza” e della compagnia “Solari-Vanzi” e Federino Rosati, tra i più significativi e giovani protagonisti della Nouvelle Vague cinematografica degli ultimi anni.