Nicola Piovani torna all’Auditorium Parco della Musica di Roma con il Concerto in quintetto ed è un gradito ritorno con un progetto che getta una luce inedita sulla sua musica. Il concerto si propone infatti come ideale percorso musicale fra brani scritti per il cinema e non solo, appositamente rivisitati e riarrangiati per un piccolo gruppo di solisti a restituire non l’ampio respiro delle orchestrazioni, ma una versione più intima e flessibile della musica. Si tratta di una dimensione più intima e colloquiale che si tratti di celebri colonne sonore o di brani inediti, di temi scritti per la televisione o per il teatro, di divagazioni sulla magniloquenza dei miti greci (I Dioscuri, Icaro e Narciso) da cui il compositore appare quasi irretito, i musicisti appaiono sempre affiatati lasciando trasparire la gioia e il piacere di suonare. È Piovani al pianoforte, strumento privilegiato della serata, ad aprire il concerto con le dolenti note del Poeta delle ceneri, ma quando gli altri ottini musicisti entrano in scena (Andrea Avena al contrabbasso, Pasquale Filastò al violoncello e chitarra, Marina Cesari al sax e clarinetto, Cristina Marini alla batteria e fisarmonica) l’atmosfera diventa scanzonata e irriverente con il Trenino delle meraviglie, scritta per una pellicola dei fratelli Taviani. E l’alternanza di temi e umori è proprio la caratteristica principale del concerto che (di)vaga fra le molteplici atmosfere delle composizioni del musicista, passando dai toni quasi onirici di Notturno in cinque, nuovo pezzo in prima esecuzione assoluta, alla trascinante musica di Annozero alla delicata La melodia sospesa senza reale conclusione. Ma Piovani non si accontenta di suonare, ci tiene a rendere partecipe il pubblico non solo della sua musica, ma anche della sue idee, distinguendo fra musica passiva (che si è purtroppo costretti ad ascoltare contro la nostra volontà) e musica attiva, quella che viene scelta coscientemente dall’ascoltatore. Abile, simpatico oratore, Piovani (che vanta anche un autoironico cameo nel film Boris dove arriva a giocarsi addirittura l’Oscar) non disdegna di introdurre la sua musica, spiegandone genesi e aneddoti, diverte il pubblico, lo rende sempre partecipe. Introduce, non senza un pizzico di commozione, la suite da Storia di un impiegato e Non al denaro, all’amore, né al cielo scritte insieme all’indimenticato Fabrizio De Andrè e quando riecheggiano le struggenti note del Suonatore Jones l’emozione diventa tangibile. Il pubblico che gremisce la Sala Petrassi applaude e lo condivide e si emoziona nel riascoltare la tenera e magica melodia de La vita è bella (premiata con l’Oscar), rapito infine dalla voce di Roberto Benigni, tratta dalla scena conclusiva de La voce della luna di Fellini (“eppure io penso che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ più di silenzio, qualcosa potremmo capire”), esortazione ad ascoltare, che chiude il concerto. Ma non è finita qui perché il pubblico acclama i musicisti che ben volentieri tornano sul palco per Le code a changé e Notturno. Un concerto che invita non solo a godere di buona musica, ma a capire qualcosa in più sulla libertà e sulla rivendicazione di “esistere anche senza un passaggio televisivo”. Un grande successo.