opera in cinque atti
di Charles Gounod
libretto di Jules Barbier et Michel Carré
(Copyright e Edizione: Choudens, Paris;
rappr. per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano)
Prima rappresentazione: Paris, Théâtre du Châtelet, 27 aprile 1867
Nuovo allestimento
Direttore YANNICK NÉZET-SÉGUIN
Regia BARTLETT SHER
Scene Michael Yeargan
Costumi Catherine Zuber
Luci Jennifer Tipton
Produzione del Festival di Salisburgo
Prezzi: da 187 a 12 euro
Infotel 02 72 00 37 44
Cast e distribuzione:
Juliette Nino Machaidze
Maria Alejandres (11 Giugno)
Roméo Vittorio Grigolo
Fernando Portari (11 Giugno)
Frère Laurent Alexander Vinogradov
Mercutio Russel Braun
Stéphano Cora Burggraaf
Le Comte Capulet Franck Ferrari
Tybalt Juan Francisco Gatell
Gertrude Susanne Resmark
Le Comte Paris Olivier Lallouette
Grégorio Ronan Nédélec
Benvoglio Jaehui Kwon
Le Duc Simon Lim
L’OPERA IN BREVE
Di Emilio Sala
dal programma di sala del Teatro alla Scala
Non si insisterà mai abbastanza sull’importanza di Gounod, e in particolare di Roméo et Juliette, nella nascita di quel nuovo genere, così pieno di ambivalenze e di contraddizioni, che venne chiamato drame lyrique e che rivoluzionò l’estetica dell’opera francese nella seconda metà dell’Ottocento. Dunque un drame lyrique, a partire dagli anni Sessanta, è un tipo di opera che, se da una parte tradisce (ma a volte anche esibisce) l’influenza del modello wagneriano, dall’altra contiene numerose e francesissime modalità di reazione ad esso: il rifiuto degli effetti plateali e della grandiosità, la ricerca di un dramma il più possibile interiorizzato e la scoperta di uno stile di canto tipicamente francese. Come scrisse Saint-Saëns nei Portraits et souvenirs, «non nell’Orchestra [cioè nel “sinfonismo”], non nella Parola [cioè nella “declamazione”] è il Verbo del drame lyrique: esso è nel Canto». Non a caso Gounod fu anche il fondatore della mélodie francese (quella che porterà a Fauré e a Debussy). L’affermazione del drame lyrique si può cogliere nello stesso percorso compositivo di Gounod. Mentre Faust (1859) mostra ancora solidi legami con il grand opéra, con l’opéra comique e persino con certi “effettacci” tipici del mélo popolare, Roméo et Juliette (1867) appare decisamente strutturato secondo i principi della nuova drammaturgia lyrique. Certo, resta il ruolo en travesti tipico dell’opéra comique (Siébel in Faust, Stéphano in Roméo et Juliette), così come resta il pezzo “di bravura” per la chanteuse à roulades (Marie Miolan-Carvalho, prima Marguerite e prima Juliette), ma le parti convenzionali appaiono sempre più lontane dal cuore dell’opera. Quest’ultimo batte nella “melodia dialogizzata” dei quattro (quattro!) duetti d’amore attorno ai quali è costruita tutta la partitura. Tale proliferazione di duetti (quattro duetti avrà significativamente anche Werther di Massenet) crea quell’uniformità di tono, quella sensibilità un po’ morbosa che apparirà a Verdi la negazione stessa della dimensione teatrale. Per lui «Gounod è un grandissimo musicista, il primo Maestro di Francia, ma non ha fibra drammatica » (lettera al conte Arrivabene, 5 febbraio 1876). A ogni modo questa rarefatta sensibilità partecipa già di quella «entreprise de dédramatisation» (Michel Faure) che culminerà nell’età del simbolismo e in compositori quali Fauré e Debussy. Un altro elemento che va messo in evidenza nel processo di formazione del drame lyrique è la sua vocazione letteraria, che porterà alla Literaturoper (cioè l’opera che mette in musica un testo letterario senza surrogarlo in un libretto).Anche in questo caso il passaggio da Faust a Roméo et Juliette è significativo. Il primo infatti non è tratto direttamente da Goethe; i due librettisti Jules Barbier e Michel Carré lo approntarono rimaneggiando il «drame fantastique» Faust et Marguerite che quest’ultimo fece rappresentare nel 1850 in un teatro del boulevard, il Gymnase Dramatique. Roméo et Juliette invece venne tratto dagli stessi due librettisti direttamente da Shakespeare, senza realizzazioni teatrali intermedie. La distanza di questo libretto dagli adattamenti shakespeariani tipo quello di Felice Romani per Vaccai (1825) e Bellini (1830), adattamenti che tanto scandalizzavano Berlioz, è enorme. La strada verso la cosiddetta Literaturoper è aperta (anche se ancora abbastanza lunga). D’accordo, Gounod e i suoi librettisti tradiscono Shakespeare quando fanno risvegliare Giulietta prima che Romeo muoia. Ma questa era la “vulgata” teatrale del dramma shakespeariano fin dai tempi di Garrick. Lo stesso Berlioz, fustigatore dei rimaneggiamenti-profanazioni “alla Castil-Blaze”, optò per questa soluzione patetizzante nella sua famosa «sinfonia drammatica». Se si vuole trovare in Gounod una significativa deroga al dettato shakespeariano-berlioziano, bisogna rivolgersi piuttosto al taglio della scena finale, quella della riconciliazione tra Capuleti e Montecchi. Il messaggio storico-politico del dramma, fondamentale nel grand opéra e nel finale di Roméo et Juliette di Berlioz, non interessa Gounod, che tende a concentrare tutta la vicenda nella sfera interiore dei due protagonisti. Dopo le ultime parole pronunciate all’unisono dai due amanti («Seigneur, pardonnez-nous»), il messaggio finale è lasciato all’orchestra che condensa in 12 battute due temi diversi. Le prime 4 battute riecheggiano l’incipit del Sommeil de Juliette (il pezzo musicale n. 21 della partitura), mentre il resto rinvia all’explicit del motivo che fin dall’ouverture-prologue esprime l’amore di Romeo e Giulietta. Si tratta di un pezzo tipicamente lyrique il cui effetto è ancora accresciuto dal fatto che il suo carattere quasi estatico contrasta terribilmente con ciò che vediamo sulla scena. La musica non amplifica la situazione drammatica, ma dice ciò che non si vede: ci fa quasi sentire, suprema illusione, il suono dell’oltre vita. Penetrati come siamo in un’altra dimensione, non possiamo ritornare al sermone di Frate Lorenzo e alla riconciliazione dei Capuleti e Montecchi. Romeo e Giulietta, immersi nel loro sonno, non li sentirebbero più.