Dopo il balletto, anche l’opera lirica approda al Teatro Quirino di Roma. Pubblico molto numeroso, ma d’altra parte è in scena il Don Giovanni di Mozart, seconda opera della trilogia dell’amore di Mozart, che segue Le nozze di Figaro e precede il Così fan tutte.
C’è tutto quello che si potrebbe aspettare: la buona Orchestra Anello Musicale, molto numerosa (circa 40 elementi) nella “fossa” del teatro, volumi contenuti per gli spazi del teatro, un buon cast e un allestimento molto tradizionale con costumi d’epoca (che non convincono troppo), una regia rispettosa che non si prende eccessive libertà. Dramma giocoso in due atti, il Don Giovanni in scena al Quirino, si configura subito come un allestimento necessariamente tradizionale lasciandosi però qualche libertà nelle scene, sempre più spesso essenziali e qui costruite con sedie di legno accantonate e una sorta di impalcatura di metallo fra la quale si muovono gli interpreti. Luci e fondali fanno tutto il resto a colorare emozioni e stati d’animo della vicenda o a sorprendere gli spettatori quasi accecandoli con i fari in momenti clou della vicenda, dall’uccisione del Commendatore (Giovanni Tarasconi) per mano di Don Giovanni nella scena di chiusura quando il seduttore incallito viene inghiottito nell’inferno. Risulta poco invadente e poco audace nelle scelte la regia di Alessandro Londei che dirige con compostezza gli interpreti lasciandoli a tratti fin troppo statici e alla ribalta in alcuni momenti che richiederebbero forse maggior dinamismo o contatti con gli altri personaggi. Poco condivisibile qualche scelta (come è possibile che Donna Anna si allontani con fare composto e falcata elegante attraversando con calma l’intero palco quando il misterioso assalitore, Don Giovanni, combatte con suo padre, il Commendatore?), interessanti altre (il Commendatore che avvolge Don Giovanni in un lungo telo nero a simbolo delle fiamme dell’inferno o l’efficace scena del catalogo). Direzione d’orchestra contenuta e mai debordante di Massimo Italiano che esalta tanto i passaggi gravi dell’opera, senza eccessive tinte scure, quanto i toni più giocosi. Di tanto in tanto si nota qualche imprecisione fra le voci e l’orchestra, a tratti non perfettamente allineate, ma spicca il Don Giovanni di Mauro Utzeri, dalla bella voce profonda mostrando di conoscere molto bene la parte e il personaggio del licenzioso cavaliere. Molto apprezzato anche il Leporello di Alessandro Calamai che carica il personaggio di assoluta comicità e che guadagna gli applausi del pubblico. Fulvia Mastrobuono nel ruolo della delusa e furiosa Donna Elvira, una delle (tante) donne abbandonate da Don Giovanni, è una Donna Elvira molto brillante, dalla bella voce squillante che offre una buona interpretazione. Tre ore di magnifica musica, ma il pubblico presente poi sembra non essere particolarmente educato all’opera visto che non di rado interrompe le arie, ancora non terminate, per applaudire preso dalla foga della musica.
Insomma nel complesso risulta un Don Giovanni non particolarmente audace, volutamente lontano dalle ricercate soluzioni e riletture psicologiche moderne, quanto legato alle messinscene del Settecento mozartiano. Potrebbe essere un Don Giovanni perfetto di quelli che si rappresentano ancora oggi a Praga, dove debuttò nel lontano 1787. Senza dubbio un grande successo di pubblico.
Fabiana Raponi