Il racconto del trasferimento e la consegna di 48 manze e manzette che dalla Val Rendena (Trento) sono state donate alle famiglie di Suceska_Srebrenica in Bosnia-Orientale tra novembre e dicembre 2010. I protagonisti di questa impresa sono Roberta Biagiarelli, Gianni Rigoni Stern, artefice di questo esempio di solidarietà tra Comunità, gli allevatori e i paesaggi del Trentino e in particolare della Val Rendena e la comunità residente sull’Altopiano di Suceska_Srebrenica costituita da persone che sono tornate a vivere dal 2000 in territorio bosniaco, dopo i tragici fatti legati alla guerra dei Balcani (1992-1995).
ASIAGO (Vicenza)—«Quando sono arrivato è stato un po’ come sentirmi a casa, sul mio altopiano. Le stesse montagne ondulate, gli stessi pascoli. Ricordano un po’ Foza, un po’ Stoccareddo. Anche la gente è buona e ospitale». E’ l’agosto del 2009 quando Gianbattista Rigoni Stern arriva per la prima volta a Sucéska, piccolo villaggio a dieci chilometri da Srebrenica, in Bosnia. In un anno e mezzo ci è ritornato dieci volte, una ogni quaranta giorni. L’ultima, era l’anti-vigilia, quasi fosse Babbo Natale (e un po’ in effetti ci assomiglia), Rigoni Stern ha portato con sè un dono speciale per questa piccola e poverissima comunità che da allora ha adottato: 48 manze di razza rendena e unsogno, quello di uno sviluppo sostenibile fatto di agricoltura, latte e formaggio, che aiuti la gente a vincere la lotta per la sopravvivenza. Quella che descrive Rigoni Stern sembra una scena da Alto Medio Evo: campi infestati dalla felce, il bosco che avanza, i pascoli e i prati abbandonati, gli scheletri delle stalle e delle case bruciate, ormai 15 anni fa, che nessuno ha i soldi per abbattere.
Era stato invitato da Roberta Biagiarelli, autrice teatrale conosciuta con Paolo Rumiz a casa del padre, Mario, l’autore del Sergente nella neve, poco prima che morisse. La Biagiarelli, che ora sta girando un documentario su questa impresa che verrà presentato al prossimo Festival della Montagna, da quindici anni frequenta la Bosnia. Ci ha messo poco a convincere Gianbattista, forestale in pensione dopo trent’anni di lavoro nella Comunità montana dell’Altopiano dei Sette Comuni. Doveva giusto dare una potatina agli alberi delle vedove di Srebrenica, gli ha detto. Ne è nato un progetto che è anche una filosofia di sviluppo. Per prima cosa Rigoni Stern ha iniziato a girare per le case di questo villaggio a 800 metri sul livello del mare, una per una. «E quando entri in questi edifici non intonacati, la prima cosa che noti sono le foto dei morti. Ogni famiglia ne ha più di uno. A una donna mia coetanea, 62 anni, sono stati uccisi il padre, il marito e tre figli. In una contrada del paese, su 115 uomini, la guerra se n’è portati via 92. Le tigri di Arkan arrivavano dalla Serbia, uccidevano gli uomini, riempivano stalle e case di copertoni e poi incendiavano il tutto con le bombe a mano». Poi, nel 1995, il colpo finale: il massacro di Srebrenica, 10.000 musulmani uccisi, il più grande sterminio in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. «Dal 1992 al 2002 il villaggio è stato completamente abbandonato, gli animali e i macchinari rubati. Poi, il ritorno. Ma sono rimaste solo vedove e giovani orfani che hanno perso tutte le conoscenze dei padri. Coltivano e allevano quel tanto che basta a sopravvivere». E’ come se la Bosnia avesse saltato in un colpo una, due generazioni. Servono macchinari per tagliare la felce e il fieno («usano la falce a manoe gli ho portato cinquanta pietre per affilarle») e animali per curare i prati e produrre il latte. Ma, soprattutto, serve conoscenza.
Rigoni Stern ha messo in piedi un percorso ambizioso: un ciclo di lezioni con una cinquantina di allevatori, la fornitura di una manza da latte a famiglia con l’obbligo di non rivenderla né macellarla per cinque anni, e infine la costruzione di un caseificio che eviti, come ora, il trasporto del latte a Tuzla, a cento chilometri di distanza. C’è anche un «casaro» asiaghese in pensione già pronto a partire. Ma prima bisogna aspettare che le manze possano produrre il latte. Ed è per questo che a febbraio Rigoni Stern tornerà a Srebrenica portando il seme congelato necessario a ingravidarle. E’ proprio il lavoro di «accompagnamento », questa adozione nemmeno troppo a distanza, la peculiarità del progetto. Unico problema, si fa per dire, i finanziamenti. Un aiuto fondamentale è arrivato dal Trentino. Il presidente della provincia di Trento, Lorenzo Dellai, ha acquistato le manze dagli allevatori della Val Rendena. «Siamo andati a Caderzone a ritirare gli animali – ricorda Roberta Biagiarelli – Alcuni allevatori avevano le lacrime agli occhi. Ora vorremmo portarli a Sucéska perché donino ai loro colleghi i campanacci per le mucche». «Ma non è la fine, è solo l’inizio del percorso», sottolinea Rigoni Stern. Ora viene la parte più difficile: trasformare una donazione in un’occasione di sviluppo. Oltre all’entusiasmo, Rigoni Stern sta mettendo tutto se stesso. «Autofinanzio questo progetto con la liquidazione », scherza. Eppure,un aiuto sarebbe giusto che arrivasse anche dal «suo» Veneto. Forse le attrezzature per il futuro caseificio (gli allevatori producono un formaggio simile alla casatella) arriveranno dalla Provincia di Treviso. Ma c’è bisogno di un po’ di tutto, trattori compresi. «L’alluvione ha duramente colpito la nostra regione e c’è la crisi. Non pretendo aiuti da nessuno. Solo, penso che fare qualcosa per questa terra così simile alla nostra sia un imperativo per tutti».
Gianbattista “Gianni” Rigoni Stern
Classe ’50. Sposato e padre di due figlie. Laureato in Scienze Forestali. Già docente all’Istituto Agrario, è funzionario della Comunità Montana all’Ufficio Agricoltura e Foreste. Esperto valutatore della qualità del formaggio. Appassionato delle tematiche legate all’alpeggio e alla gestione dei boschi secondo regole naturalistiche.
Roberta Biagiarelli
Attrice, autrice, documentarista, progettista teatrale, nasce a Fano (PU) il 16 febbraio 1967. Si forma alla scuola dell’esperienza di Laboratorio Teatro Settimo (TO), gruppo con il quale lavora dal 1988 al 2001, prendendo parte alla messa in scena di diversi spettacoli, tra i quali “Nel tempo tra le guerre” regia di Gabriele Vacis, “Aquarium”, regia di Roberto Tarasco e “Zie d’America: storie da mangiare” per il Festival di drammaturgie al femminile DIVINA, con tournée nazionali ed internazionali. Parallelamente segue seminari con maestri dell’arte teatrale come Yoshi Oida, Jerzy Sthur, Cesar Brie, Leo De Berardinis, Paolo Rossi, Federico Tizzi, Danio Manfredini, Marisa Fabbri.
Lavora alle produzioni estive al festival delle Ville della Riviera del Brenta collaborando con la Cooperativa Moby Dick di Mira (VE) ed interpretando diversi spettacoli per la drammaturgia di Francesco Niccolini: Il gioco dei destini scambiati, Il giardino sulla luna.
Prende parte a produzioni del Centro teatrale e sperimentale di Pontedera (PI), ad altre della Compagnia Transteatro di Fano (PU) e collabora con il Centro teatrale Armunia con sede a Castello Pasquini di Castiglioncello (LI).
Nel 1998 si appassiona di Balcani e scrive insieme a Simona Gonella, basandosi sul libro di Luca Rastello “La guerra in casa” pubblicato da Einaudi, il monologo teatrale A come Srebrenica che attualmente ha al suo attivo più di 400 repliche.
Il testo è stato tradotto in spagnolo ed in bosniaco e rappresentato per più volte in Spagna: a Madrid, Sitges, Granada, Valencia, Léon ed in Bosnia-Erzegovina a Sarajevo nel 2002 e a Tuzla nel luglio 2005.
Nel 2002 fonda la Compagnia BABELIA & C.- progetti culturali dedicandosi con slancio alla produzione, ricerca ed interpretazione di temi sociali, storici e politici.
Nel luglio 2004 debutta con lo spettacolo Reportage Chernobyl per la regia di Simona Gonella.
Nell’aprile 2006 debutta con lo spettacolo Resistenti, leva militare ‘926, sulla guerra di Liberazione nella zona del piacentino, con la drammaturgia di Francesco Niccolini, racconto co-prodotto da Fiorenzuola Teatro e da Babelia. Lo spettacolo è corredato dal libro Resistenti (casa editrice Titivillus).
Produce in occasione del decennale del Genocidio di Srebrenica (luglio 1995-2005) il reportage “Srebrenica: Voci dall’oblio” che nel dicembre 2005 vince il Premio per il giornalismo Claudio Accardi.
Nell’aprile 2006 completa il montaggio del film-documentario Souvenir Srebrenica di cui è interprete e produttrice. Ad oggi sono state organizzate oltre sessanta proiezioni pubbliche, tra le quali di particolare rilievo la proiezione del 10 luglio 2007 presso la sede del Parlamento Europeo di Strasburgo. Il documentario è entrato nella rosa dei cinque finalisti al Premio David di Donatello 2007.
Attualmente Roberta Biagiarelli è coordinatrice responsabile del “Progetto pilota a sostegno della Comunicazione per lo sviluppo sociale e culturale in Bosnia Erzegovina” , diretto allla rivitalizzazione culturale delle aree di Srebrenica e Bratunac (Bosnia Orientale). Il progetto è finanziato dal Ministero degli Esteri italiano attraverso l’ufficio di Cooperazione Italiana a Sarajevo: tra le azioni previste c’è l’apertura a Srebrenica di un Ufficio periferico di Cooperazione italiana (3 marzo 2009) e l’inaugurazione per la riabilitazione illuminotecnica e la ristrutturazione del Teatro della città di Srebrenica (20 agosto 2009). Al momento si stanno svolgendo corsi di formazione per giovani e donne, rivolti a potenziare e supportate le attività delle Organizzazioni locali che favoriscono il dialogo e la difesa dei diritti umani e della pace. Il Progetto Comunicazione si chiuderà a marzo 2010 con un grande evento collettivo finale.
30 agosto 2009 le viene consegnato a Sirolo (An) il Premio Franco Enriquez 2009 come migliore attrice.