L’inaugurazione della stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma nel grandioso complesso archeologico delle Terme di Caracalla, sabato 2 luglio, è stata quest’anno inusuale, speciale e ardita per tanti motivi: non la classica apertura di stagione con un’opera popolare, ma con la prima italiana della Trilogia Romana di Respighi reinterpretata dall’allestimento scenico della prestigiosa Fura dels Baus. Un concerto multimediale e rivoluzionario non tanto come idea (accompagnare la musica) quanto di reali invenzioni: si tratta in effetti di immagini che scorrono su un pannello dietro l’Orchestra. Ma che immagini e che creatività, che idee e che invenzioni, quale approccio a Roma e alla sua arte! Senza dubbio, il concerto (una coproduzione con il Palau de Les Arts “Reina Sofia” di Valencia dove ha debuttato lo scorso 17 giugno), ideato appositamente per lo spazio romano, si giova anche della monumentale e imponente scenografia offerta dalle Terme, come non mai valorizzate da luci e colori. E l’effetto è spettacolare, da un punto di vista emotivo e musicale. Carlus Padrissa, regista dello spettacolo e anima della Fura, aveva parlato chiaramente dell’idea del progetto, non “quella di creare un film che fosse accompagnato dalla musica, ma il contrario. Cercare fili invisibili fra le immagini e la musica. La musica è la protagonista assoluta in uno spettacolo “sostenibile” che gioca con le luci e le ombre, senza attori o ballerini”. E infatti sullo schermo posto dietro l’Orchestra si susseguono le immagini (realizzate sui video di Emmanuel Carlier, già collaboratore della Fura) che commentano la musica di Respighi, con o senza continuità razionale secondo un approccio emotivo alla scoperta di Roma. Padrissa aveva (immaginiamo provocatoriamente) consigliato di assistere al concerto anche a occhi chiusi, godendo solo la musica, ma sarebbe stato un vero peccato: è possibile invece godere di uno spettacolo di arte totale osservando e ascoltando, seguendo le immagini a supporto della musica confortata ed esaltata dalla prestigiosa presenza del direttore Charles Dutoit, per la prima volta al Teatro dell’Opera, a dirigere l’organico musicale del teatro romano, dal suono particolarmente elastico e convincente. La Fura in realtà non ha offerto nulla di provocatorio, ma si è presa la libertà di alterare l’ordine cronologico della composizione aprendo con Feste Romane, di impatto inquietante e passionale, di concretizzare le assonanze emotive alla musica nelle Fontane di Roma, di sorprendere con I pini di Roma. Sorprendente la vivacità emotiva che ripercorre le immagini, fra storia, arte, architettura fra suggestioni emozionali, caloroso omaggio alla Roma più classica e più tradizionale, ma non solo. Trionfano il Colosseo, l’arte del Caravaggio, Fontana di Trevi, ma non solo in un viaggio onirico della mente a tratti travolgente, che scruta fra le pietre, omaggia i vicoli con le immagini del neorealismo cinematografico fra le suggestioni musicali di Nino Rota, con fotogrammi di Sciuscià o La dolce vita, Umberto D. o Roma città aperta. L’approccio non è mai convenzionale, dalla rilettura del mito di Dafne e Apollo e alla statua del Bernini, alla trasformazione dell’acqua, simbolo della vita, in fontana, dai corpi e statue che si trasformano in corpi liquidi, fino alla grandiosa marcia dei pini. I colori e i temi diversi si susseguono fra la potenza delle luci, ora verdi, rosse o gialle, infine accecanti che illuminano anche i soli movimenti, coreografie naturali, dei musicisti, in assenza voluta d’immagini, ma fra i momenti di totale coinvolgimento di sensi ecco la presenza del fumo che esce dalla buca o offuscare la visione, sovrapponendosi non solo alla musica, ma anche alle immagini. Uno spettacolo di arte quasi totale che coinvolge i sensi, un grande omaggio alla città di Roma, alla sua arte e alle sue bellezze. Finale con gran colpo di scena con la proiezione sullo schermo di Dutoit che dirige (in nero con giacca bianca). Un grande successo di pubblico, un primo concreto raffinato passo verso l’ambito e auspicato Festival di Caracalla verso cui il teatro sembra essere particolarmente proiettato, corollario della grande stagione più prettamente “popolare” che coinvolge pubblico italiano e straniero.
Fabiana Raponi