Una scenografia molto semplice, quasi assente, che sfrutta la struttura lignea del Silvano Toti Globe Theatre, accompagna Pene d’amor perdute, secondo appuntamento della stagione estiva del teatro elisabettiano nel cuore di Villa Borghese a Roma. Regia di Alvaro Piccardi che ha realizzato lo spettacolo come punto di arrivo di due anni di laboratorio studio con la Compagnia dell’Accademia del cinema Act Multimedia. In scena dunque un gruppo di giovani attori di cui vanno ammirati e lodati l’impegno e il carisma (di alcuni in particolare come Stefano Patti nel ruolo di Biron) che calcano la scena con grande entusiasmo. La Corte di Navarra è evocata dalle proiezioni delle eleganti architetture di palazzo, ma l’azione si svolge praticamente tutto sul palco per l’occasione agghindato con un panno verde, una coperta da picnic o pochi altri elementi di scena. Piccardi allestisce uno spettacolo molto “italiano” che mescola la commedia sofisticata del corteggiamento e della guerra fra i sessi alla comicità di carattere spiccatamente popolare, fra commedia dell’arte e dialetti. Ecco allora che Crapotti diventa un poliziotto dall’accento siculo con Ray Ban d’ordinanza e Don Armado indossa la maschera del teatro della commedia con inevitabile accento spagnolo. Smantellando ogni riferimento classico e attualizzando il testo sia nella scelta linguistica (sua la traduzione e l’adattamento) a tratti fin troppo moderna, sia nell’impostazione visiva, Piccardi colloca la vicenda in un imprecisato periodo citando gli Anni Cinquanta fra colorati abiti a ruota per le donne e composti abiti classici per gli uomini. La commedia, una delle prime scritte dal Bardo, racconta la storia del Re di Navarra che per tre anni vuole dedicarsi insieme ai suoi compagni solo ed esclusivamente allo studio, sfidando il tempo: saranno pertanto banditi dal regno donne e divertimenti, ma il caso vuole che proprio in quel momento arrivi in visita ufficiale la Principessa di Francia e il suo seguito (femminile). Gli sviluppi saranno prevedibili, ma inusuali, fra inganni femminili e raggiri: scatta l’attrazione reciproca e i gentiluomini, nonostante i buoni propositi e la resistenza, saranno costretti a capitolare di fronte alle donne, salvo colpo di scena finale che getta un’aura di malinconica mestizia sulla vicenda rimandando ad altro tempo il lieto fine. Per Piccardi, Pene d’amor perdute è una commedia sulla tragicità del tempo (diversamente concepito dagli uomini e dalle donne) che assume i tratti della commedia sfrenata e del musical, configurandosi come commedia gioiosa entro cui si consuma il gioco crudele del tradimento e dell’inganno. E ci sono diversi motivi d’interesse per assistere alla commedia: innanzitutto si tratta di un testo che non viene rappresentato molto spesso. E poi c’è tutta la magia del testo (e dell’allestimento) che viene affidato a minimi cambiamenti emotivi, schermaglie amorose, all’emotività e agli stati d’animo altalenanti dei personaggi. A una trama tutto sommato poco movimentata (e poco conosciuta), la regia di Piccardi supplisce con scelte vivaci, con alcune perle da ammirare, dalla precipitosa entrata in scena del re e dei suoi compagni, all’entrata onirica della principessa di Francia e del suo seguito, all’irreale picnic fra abiti floreali ed eleganti cappelli. Il risultato è nel complesso uno spettacolo attuale e moderno, molto agile (anche nella durata) e lieve.
Fabiana raponi