tratto dal Mahabharata e dal testo teatrale di Jean-Claude Carrière
adattamento e regia Peter Brook e Marie-Hélène Estienne
con Karen Aldridge, Edwin Lee Gibson, Jared McNeill, Larry Yando
musiche Toshi Tsuchitori
costumi Oria Puppo
luci Philippe Vialatte
Produzione Théâtre des Bouffes du Nord
Co-produzione The Grotowski Institute, PARCO Co. Ltd / Tokyo, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Young Vic Theatre, Singapore Repertory Theatre, Le Théâtre de Liège, C.I.R.T., Attiki cultural Society, Cercle des Partenaires des Bouffes du Nord
——
Infatti è proprio su un campo di battaglia che si apre la scena, o meglio sui – pochi – sopravvissuti alla guerra a cui ha fatto da scenario; raccontano, descrivono e ancora ne parlano, avviando, soprattutto, riflessioni che ci toccano molto da vicino.
Il vincitore, al centro della scena, si chiede “Che cosa abbiamo fatto?”
E perlomeno a questo punto, possiamo, anzi dovremmo, domandarci che cosa ce ne facciamo della guerra. Qualcuno di sicuro risponderà, un po’ fatalisticamente, che la guerra c’è sempre stata e sempre ci sarà, che è un evento naturale, connaturato all’uomo. Altri daranno la colpa al Creatore in cui (non) credono. Lo spettacolo sembra ce ne suggerisca la ciclicità. Ma tutti, alla fine, perdono, tutti gli uomini e le donne, in guerra, hanno perso qualcuno e qualcosa, ognuno ed ogni cosa… E che dire della loro umanità? La Terra, unica vincitrice, mentre interpreta la giustizia, dirà che ne era stufa, stufa dei soprusi che è costretta a subire ogni giorno. Allora si è rivoltata e ha distrutto, perché come può dare la vita, può portare anche alla morte. La distruzione, impariamo, è un circolo che ci mostra il male dove c’è il bene e viceversa, e una volta innestato non si ferma finché non ha concluso la sua missione.
Questo spettacolo ci parla direttamente all’orecchio di temi giganteschi e universali come il perdono, e arriva dritto ai brividi.
Servendosi di attori intensi e bravissimi, con un testo magistralmente tradotto, non ha bisogno di osare per emozionare; e forse quest’ultima potrebbe, se non assunta a regola generale, almeno essere estesa. Per esempio a un teatro che torni con fierezza alle sue origini, purifichi dalle paure più ancestrali e scuota dall’indifferenza riguardo gli orrori che continuano a esistere, anche nella nostra quotidianità, come le guerre che sconvolgono i popoli oggi! Battlefield è “solo” uno spezzone del Mahabharata, opera tratta da un poema indiano che è anche uno dei testi fondamentali della religione induista. I temi che scaturiscono, pur senza avere una conoscenza approfondita di tale religione, si possono riconoscere con facilità, probabilmente anche grazie o a causa dell’indottrinamento su un’altra religione. Così risulta sempre più chiaro che nonostante le differenze ci riconosciamo in chi abita lontano e ha un’altra formazione, che la letteratura, il teatro e le arti in generale sono un meraviglioso tramite che unisce e non separa, crea e non distrugge, svela la comune umanità che sottende a tutti noi.
Alla fine ogni avvenimento può essere affrontato con una risata, e ogni storia è più facile da raccontare se ci si serve di altre storie.