Santarcangelo 2009/2011 ha creato una nuova idea di festival dove il piano artistico, quello critico e quello organizzativo s’intrecciano in un unico fare. Tale andamento è stato oggetto di studi e approfondimenti nel mondo teatrale e universitario e ha sprigionato un’energia corale che viene ora posta come viatico per il futuro.
Si conclude con Santarcangelo 41 l’andamento triennale Santarcangelo 2009/2011, una direzione artistica condivisa da Chiara Guidi/Socìetas Raffaello Sanzio, Enrico Casagrande/Motus e Ermanna Montanari/Teatro delle Albe. Nato da un’idea dell’antropologo teatrale Piergiorgio Giacchè – sostenuta dall’allora presidente di Santarcangelo dei Teatri Sandro Pascucci e suggerita dal direttore dell’Arboreto-Teatro Dimora di Mondaino Fabio Biondi – il progetto ha dato nuova energia al festival, sia sul piano delle relazioni internazionali che su quello del suo radicamento nel territorio. L’andamento triennale, contraddistinto da una dimensione plurale e dall’intrecciarsi degli sguardi e dei piani – quello artistico, quello critico e quello organizzativo – ha visto il costituirsi di un coordinamento permanente che ha affiancato i tre direttori come sponda critica e conduzione organizzativa composto da Silvia Bottiroli, Rodolfo Sacchettini e Cristina Ventrucci.
La speciale modalità di lavoro e di confronto messa in pratica in questo triennio, con la sua portata sperimentale, è stata oggetto di studio e di riflessione in diverse sedi, tra cui “Festival of Festivals” di Bologna, la Fondazione Fitzcarraldo di Torino, il corso di formazione internazionale “SPACE/Performing arts managers on the move” (progetto UE), il convegno “CERC, International Coproduction” di Barcellona, le Università Bocconi e Cattolica di Milano, il convegno “Le Buone Pratiche” di Torino e di Bologna, la Scuola civica d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano e l’Università degli Studi di Bologna.
Sempre a questo proposito è stato pubblicato il saggio “La coralità necessaria e impossibile” (in Spunti per una rivoluzione. Nuove voci dal mondo della cultura edito da Franco Angeli) ed è stata redatta e discussa la tesi Creating Value in the Arts through Community Involvement: The Case of Santarcangelo dei Teatri (di Livia Piazza, relatore prof. Severino Salvemini) presso la Bocconi di Milano.
A partire dal testo già pubblicato in forma di appunti sul catalogo di Santarcangelo 41, alcune considerazioni possono illuminare il lavoro fatto, l’eredità che oggi si consegna a Santarcangelo dei Teatri e l’indicazione di strade per il futuro: un procedere collettivo, per entrare in relazione con i cittadini, inventare nuovi spazi per il teatro e contesti di ospitalità e accoglienza del pubblico, per innestare collaborazioni italiane e internazionali, come per la ricerca di un segno grafico capace di declinarsi in modi diversi.
“Il triennio che si chiude oggi è un esperimento di pluralità, di crepa nel sistema corrente del teatro e della sua organizzazione, di affermazione di un altro modo possibile e, con il modo, di un mondo possibile – scrivono Silvia Bottiroli, Rodolfo Sacchettini, Cristina Ventrucci, coordinamento critico-organizzativo Santarcangelo 2009/2011 – . Ci sono state tre idee forti, tre domande diverse spalancate ogni anno da un artista, domande-vortice che interrogano il teatro presente e lo misurano, come fosse un esperimento scientifico, intendendo il festival come laboratorio di creazione e di futuro. E le idee hanno posato in un contesto a sua volta inventato attraverso un esercizio di pensiero e di dialettica, un’apertura di spazi perché filtrasse aria. Un’idea, una creazione, è ciò che di meno democratico si possa pensare: è anzi obbedienza alla verticalità di una visione, che per compiersi ha bisogno di molto lasciar cadere; un festival teatrale deve al contrario essere contesto di pratica della democrazia, di allenamento alla comunità, di esercizio di funzione critica.
I programmi dei tre festival di questo inedito andamento acceso a Santarcangelo dal 2009 a oggi raccontano bene i percorsi e gli esiti di questi tentativi, caparbi e festanti, di rilanciare il senso di un festival, e il bilancio è ora nelle cose, anche nelle parole certo, ad esempio piazza e coro che non ci stanchiamo di ripetere e problematizzare, ma soprattutto nella concretezza delle cose e dei volti.
C’è un gruppo di lavoro, innanzitutto, a cui va riconosciuto il merito di essersi formato e consolidato, anno dopo anno, sempre accogliendo figure giovani, mani inesperte, occhi curiosi, e di aver dato corpo e vita anche alle idee più impervie. Senza di loro nessun festival sarebbe stato possibile, e di loro, delle loro competenze appassionate, si dovrà tenere conto nel pensare il futuro.
C’è una modalità di direzione del festival che si è voluta plurale, con artisti – di gruppi diversi e quindi diverse poetiche – organizzatori-critici che hanno scelto di lavorare insieme, gomito a gomito, considerando la dialettica, la pluralità, una forma necessaria di apertura, perché a Santarcangelo passasse non già la traiettoria di una sola visione, ma il respiro di tanti che scelgono di farsi uno senza rinunciare alle loro individualità. Anche di questo, dell’energia che scaturisce dalla frizione dei ruoli, riteniamo, si dovrà tenere conto.
Ci sono luoghi recuperati al teatro, spesso per una sola edizione e poi, a distanza di pochi mesi, già trasformati in altro o distrutti, come se quella sugli spazi dovesse rimanere una questione aperta, ogni anno ripensata tenendo conto delle impossibilità ma anche delle adesioni generose di soggetti pubblici e privati, compresi singoli cittadini, che scelgono di aprire una porta. Questo rimane come una consegna alle istituzioni, evidentemente, a fare in modo che una continuità sia possibile e che il teatro possa essere per i santarcangiolesi anche un luogo da abitare, non solo un festival da attraversare.
Ci sono un centro festival, una balera, un campeggio: niente che abbia a che fare direttamente con il teatro, si dirà, ma elementi necessari a un’accoglienza del pubblico efficiente e calorosa, che dica concretamente come gli spettatori, anche loro plurali, cittadini o stranieri di questa località, siano il vero orizzonte di lavoro, a cui non si è abdicato mai.
Ci sono i segni di una relazione non occasionale, non improvvisata e non inerte con diversi soggetti, locali e internazionali, grazie ai quali si sono costruite le condizioni per produrre o ospitare alcuni progetti, e per far conoscere Santarcangelo e il suo festival ben al di là dei confini nazionali. Queste relazioni, e i sostegni che hanno portato al festival, raccontano di una pratica di lavoro quotidiana, di una costruzione di conoscenza e fiducia con diversi operatori europei, di un valore riconosciuto a Santarcangelo e al suo festival attraverso il rigore delle persone che vi lavorano.
C’è un tratto grafico infine, che negli anni si è arricchito di segni diversi, che ha saputo raccontare e tacere, creare uno spazio per lo spettatore, in certe nebbie, in certi campi di colore, nel tuffo del nero. Un tratto non perentorio, che non tende a una visione unitaria ma apre letture, ombre, spazi di relazione: anche questa è un’indicazione di percorso, l’idea di un richiamo verso un luogo indefinito, verso il rinnovamento del rischio culturale che è il solo valore su cui valga la pena scommettere, se si vuole pensare il futuro”.