“Racconto d’inverno”
è uno spettacolo popolare, una sorta di fiaba-commedia ricca di colpi di scena, di salti temporali, una storia dove la tristezza e la malinconia vengono stemperate nell’ultimo atto da una vivace, solare comicità e da un prevedibile lieto fine. Dal punto di vista drammaturgico, la tragicommedia è divisa in due parti, ambedue caratterizzate dalla follia. La prima ricalca il copione della tragedia classica che prende il via dalla folle e irrefrenabile gelosia di Leonte re di Sicilia nei confronti di Ermione (la moglie innocente). La seconda parte è invece caratterizzata dalla follia amorosa di Florizel – figlio di Polissene re di Boemia (il presunto amante di Ermione) verso la figlia all’inizio abbandonata e creduta morta di Leonte.
All’inizio molti avvenimenti (il sospetto del tradimento, l’inimicizia che esplode tra i due vecchi amici, il tentato avvelenamento di Polissene, la morte di Ermione e dei suoi due figli) danno spessore al dramma e sembrano preparare lo spettatore ad un epilogo tragico. Poi la catarsi finale, la verità che esplode, il pentimento di Cleonte, la riappacificazione con l’amico Polissene, il trionfo amoroso dei due giovani.
Certo il Bardo poteva risparmiarci la resurrezione della defunta Ermione. Ma, a ben pensarci, trattandosi di una favola raccontata d’inverno davanti al fuoco del camino, la resurrezione ci può anche stare. Quel che colpisce è la lungimirante, coraggiosa e visionaria (per quei tempi) rappresentazione della ribellione della donna alla misoginia del potere. Le tirate di Paulina, infatti, interpretata da una brava Cristina Crippa, sono un’eccezione nella drammaturgia dell’epoca. Shakespeare affronta anche il tema “eterno” della contrapposizione transgenerazionale con i figli che si fanno portatori della verità, della riconciliazione e dell’amore.
Abbiamo parlato finora di Shakespeare, occupiamoci ora di come l’opera è stata rappresentata.
Diciamo subito che la messa in scena intesa come sintesi di tutti gli elementi che la compongo (regia, recitazione, scenografia, costumi, musiche, luci) rasenta la perfezione. Uno spettacolo eccezionale. Merito di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani che hanno curato traduzione, regia, scene e costumi. Come registi, tra i molti meriti, hanno quello di aver mantenuto, la magia e la forza dirompente del testo. Le scene, minimaliste, sono funzionali anche se contrastano un po’ con l’eleganza dei costumi.
Tutti gli attori meritano l’applauso per la padronanza scenica e per la capacità di buttarsi in tirate drammatiche. Oltre a Ferdinando Bruni nelle vesti di Creonte e Cristina Crippa, , ricordiamo l’ottima prova di Cristian Maria Giammarini nella parte di Polissene, Elena Russo Arman nelle vesti di Ermione e ancora di Nicola Stravalaci in quella di Camillo, Luca Toracca, Carolina Cametti nella doppia parte di Perdita e Mamillio, Alejandro Bruni Ocana (Florizel), Federico Vanni, Corinna Agustoni.
Nel gioco scenico le luci di Nando Frigerio e i suoni e le musiche di Giuseppe Marzoli svolgono una funzione descrittiva per quanto riguarda gli stati d’animo e creativa per spazi e atmosfere.
Gli applausi calorosi sono l’ultima notazione di una bellissima serata. Spettacolo da non perdere.