Abbiamo constatato che all’uscita dei nostri spettacoli, gli spettatori, dato l’elevato grado di coinvolgimento, spesso non riescono a cogliere fino in fondo il filo delle parole, dei suoni, delle musiche. Questo accade perché la poetica che attraversa dagli esordi il lavoro del Lemming è caratterizzata proprio dal tentativo di immergere lo spettatore nel flusso emotivo di un evento in cui la parola non vale più di uno sguardo, di una carezza, di un’immagine, di un profumo. Sottoposto ad una sorta di accecamento, ad un vero e proprio bombardamento sensoriale, lo spettatore si ritrova a vivere un’esperienza fortemente onirica, con la sensazione, simile a quella del risveglio da un sogno, di avere come perso qualcosa.
Questo lavoro propone invece una sorta di drastica riduzione rispetto alla normale complessità del nostro linguaggio. Ciò consente allo spettatore di potersi concentrare, rispetto alla pienezza vorticosa di una sinestesia sensoriale, sull’unico senso dell’udito. E’ una riduzione che apre però altri varchi, altre vertigini, altri acceccamenti.
D’altra parte questo lavoro propone anche un possibile attraversamento della nostra attività produttiva: una piccola antologia, appunto, di parole e musiche dal Lemming – in realtà una delle tante possibili, in un materiale quasi inesauribile accumulato in venticinque anni di attività e ricerca.
Per chi conosce il nostro lavoro sarà un modo di poter riattraversare suggestioni che riverberano inevitabilmente di altre suggestioni; per chi ci incontra per la prima volta suggeriamo la possibilità di lasciarsi attraversare da un piccolo incantamento.
Questi diciassette frammenti disegnano un viaggio nella memoria di ciascuno di noi, stanze dell’anima, perle di una collana che affida ad ogni spettatore il compito di ricostruirne il filo.
Nel Simposio Platone riporta un mito affascinante sull’essenza dell’amore, che in qualche modo vale, per noi, anche per l’essenza del teatro.
Egli racconta come gli uomini fossero originariamente degli esseri sferici; ma poi, per punirli della loro tracotanza, gli dei li tagliarono a metà. Da allora ciascun uomo cerca nell’altro il proprio completamento. E proprio questo è l’amore: l’attesa di qualcuno, del frammento che incontrandoci sappia completarci. Così l’esperienza di un’opera d’arte rappresenta solo un frammento di essere, che solo un essere a lui corrispondente può completare in un tutto e portare alla salvezza. Questo essere salvifico è per il teatro lo spettatore partecipante.
FRAMMENTI era, infine, anche il titolo del nostro primo spettacolo realizzato nel lontano 1987, un modo per riaffermare la continuità di una poetica alla quale, seppure declinata in modi sempre diversi, siamo rimasti, a modo nostro, ostinatamente fedeli.
Il nostro lavoro è, a suo modo infatti, come sempre, costruzione di mondo: un tentativo di costruire un ordine a tutto ciò che si frantuma. Sta a chi lo riceve deciderne l’esito. Come la chiave di quell’impossibile soluzione all’enigma che noi siamo a noi stessi.