di Pier Paolo Pasolini da Plauto al Teatro della Cometa di Roma
con Luca Giordana, Massimo Grigò, Roberta Mattei,
Dario Mazzoli, Nicola Rignanese, Roberto Valerio
regia Roberto Valerio
Scena Giorgio Gori – Costumi Lucia Mariani – Luci Emiliano Pona
Artrotrogo, Pleusiche e Carione Luca Giordana
Sceledro e Acroteleuzio Massimo Grigò
Milfidippa e Filocomasio Roberta Mattei
Periplecomeno Dario Mazzoli
Pirgopolinice Nicola Rignanese
Palestrione Roberto Valerio
Un’altra strada
che mi si è aperta è quella del teatro:
cioè ad un certo momento
ho pensato che di tutti i mezzi di massa,
l’unico che non avrebbe mai potuto
essere tale era il teatro, perché il teatro
non si può riprodurre in serie….
ogni sera questo rito si riproduce
nella sua fisicità cioè nella sua verginità.
E per quanto grande sia il numero
degli spettatori, questo numero
non va mai a coincidere con quel numero x
che è la massa…questo teatro sarebbe stato…
un atto di protesta attiva, dinamica,
contro la cultura di massa.
(Pier Paolo Pasolini)
Pasolini tradusse il Miles nel 1963, in sole tre settimane, su richiesta di Vittorio Gassman che aveva in progetto di portare sulle scene il testo di Plauto, ma l’allestimento non fu mai realizzato. Con la regia di Franco Enriquez il testo debuttò comunque nel novembre del ’63 al Teatro della Pergola di Firenze: nel cast, tra gli altri, Valeria Moriconi e Glauco Mauri. In seguito è stato allestito da Squarzina con Mario Scaccia e da Pino Quartullo con Arnoldo Foà.
La versione di Pasolini del celebre Miles Gloriosus è qualcosa di più di una semplice traduzione: è un rifacimento che attualizza l’universo plautino, traslando il contesto più che la parola del grande commediografo; o se si vuole una traduzione “artistica” che reinventa, inserisce personaggi popolari e di quartiere, concretizza un mondo fatto di macchiette creando un gioco teatrale parallelo a quello di Plauto. La pulsante vitalità del parlato rivive attraverso diversi livelli linguistici e stilistici: in primo luogo il dialetto, non quello ‘letterarizzato’ che troviamo in Ragazzi di vita e Una vita violenta, ma una sua forma mutuata dal Belli e poi mediata dal palcoscenico, dal variegato mondo dell’avanspettacolo.
Appunti per la regia
Il Vantone è la Roma dei raggiri, delle truffe, degli espedienti per sopravvivere, della lotta per riuscire a mangiare, dell’eterna lotta tra padrone e servo, o meglio tra signori e morti di fame…
È la Roma di borgata, Pietralata o il Prenestino, dove, per citare Pasolini, “la gente viveva nelle baracche-tuguri costruite sulla polvere brecciolosa e sparsa di sporcizie e di rifiuti (…) con intorno zella e sole, sole e zella (…), come una specie di città indigena con un odore così forte di merda di fogna che accorava…”.
È la Roma allegra del mascherino (garzone del fornaio) che “una volta era sempre, eternamente allegro: un’allegria vera che gli sprizzava dagli occhi. Se ne andava in giro per le strade fischiettando e lanciando motti. La sua vitalità era irresistibile. Era vestito molto poveramente: i calzoni rattoppati e addirittura spesse volte la camicetta uno straccio. Però tutto ciò faceva parte di un modello che nella sua borgata aveva un valore, un senso. Ed egli ne era fiero. Al mondo della ricchezza egli aveva da opporre un altro mondo altrettanto valido… È la Roma degli sbruffoni, dei raccontaballe, dei vantoni da bar che raccontano mirabolanti avventure prendendo spunto da piccoli episodi a volte pure inventati, di “quelli che se credeno capoccia, e a casa la moje je spacca la capoccia…”.
È la Roma musicale del dialetto. “Non avevo automobile quando scrivevo in dialetto (prima in friulano, poi in romano). Non avevo un soldo in tasca e giravo in bicicletta. Non si trattava solo di povertà giovanile. E in tutto il mondo povero intorno a me, il dialetto pareva destinato a non estinguersi che in epoche così lontane da parere astratte. L’italianizzazione dell’Italia pareva doversi fondare su un ampio apporto dal basso, appunto dialettale e popolare (e non sulla sostituzione della lingua pilota letteraria con la lingua pilota aziendale, com’è poi avvenuto). Fra le altre tragedie che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, c’è stata anche la tragedia della perdita del dialetto, come uno dei momenti più dolorosi della perdita della realtà…”.
È la Roma dell’avanspettacolo negli anni del dopoguerra: “qualcosa di vagamente analogo al teatro di Plauto, di così sanguignamente plebeo, capace di dar luogo ad uno scambio altrettanto intenso, ammiccante e dialogante, fra testo e pubblico, mi pareva di poterlo individuare soltanto nell’avanspettacolo: Il mobilissimo volgare insomma, contagiato dalla volgarità, direi fisiologica, del capocomico…della soubrette…”.
Questi gli spunti a cui lo spettacolo si ispira, avendo come costante riferimento la filmografia pasoliniana (soprattutto Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Che cosa sono le nuvole?) e gli interpreti dell’avanspettacolo italiano (da Petrolini ad Alberto Lionello, da Wanda Osiris a Delia Scala).