Diciamo subito che i veri protagonisti della serata sono stati i formidabili membri dell’orchestra e le melodie zingare e klezme, cantate da quel grande animale da palcoscenico che è Moni Ovadia. Musiche struggenti, lamentose, colorate, di grande impatto evocativo che la voce scura di Moni ne moltiplica l’emozione. I testi sono incomprensibili, ma l’emozione non viene depotenziata perché la parola, pur perdendo il suo significato lessicale, assume la veste colorata del suono.
In realtà il tema della rappresentazione è stata la denuncia appassionata dell’antisemitismo e delle discriminazioni etniche nei confronti di rom e sinti. In questo lungo excursus Ovadia racconta la terribile storia di persecuzioni che culminano nei campi di sterminio nazisti e denuncia il surrettizio superamento dell’antisemitismo e la più palese discriminazione nei riguardi della popolazione rom. Ebrei e rom due culture diverse per certi versi opposte (l’etica calvinista del lavoro e del guadagno per gli ebrei e la libertà come valore assoluto per i rom) la prima nomade per necessità (diaspora), la seconda per vocazione, ma legate da una forte tensione identitaria. Ed è proprio grazie a questo profondissimo sentimento identitario che la comunità ebraica e rom sono riuscite a non farsi fagocitare nell’indistinto melting-pot dove tutto viene omologato alla cultura dominante. Dice Moni:«Le vicende dei due popoli si intrecciano e viaggiano parallele,Rom ed ebrei sono popoli dell’esilio, ma mentre i secondi sono entrati nei salotti della società, i primi hanno continuato a essere ciò che erano: genti senza confini, con il culto della vita e della libertà, che mai hanno conquistato o pensato di conquistare qualcuno».
Dopo il “sermone” ritroviamo il Moni Ovadia in formato tradizionale che con le musiche, le canzoni, gli aneddoti e le storielle e con sua istrionica versatilità, dopo aver sollecitato e provocato l’intelligenza e stimolato l’empatia viscerale, fa tornare il sorriso agli spettatori. Ma la vera sorpresa che ha scatenato entusiasmi da stadio è stata l’eccezionale bravura dei componenti l’orchestra, veri funamboli dello strumento che hanno contagiato gli ignari spettatori colpiti da vere e proprie scariche di adrenalina . Ma non ci sarebbe stato questo entusiasmo collettivo se il virtuosismo (in sé freddo) non fosse stato accompagnato dalla passione e dalle sonorità fortemente espressive.
Meritano dunque tutti una menzione e un ringraziamento: Ion Stanescu (violino), Marian Serban (cymbalon), Marin Tanasache (contrabbasso), Albert Florian Mihai (fisarmonica), Paolo Rocca (clarinetto), Massimo Marcer (tromba).