Le candele illuminano il palco, poi appare Donna Rosa che, inginocchiata, si confessa a Dio raccontando in un lungo flashback la sua storia, una piccola storia di ordinaria, ma non troppo, normalità. Grisù, Giuseppe e Maria si apre così, quasi sottotono, e quando il sipario svela la scena, lo spettatore viene catapultato all’improvviso in una sagrestia di una piccola chiesa di Pozzuoli agli inizi degli Anni Cinquanta. E quello che prende corpo sotto gli occhi della platea è proprio l’Italia del Dopoguerra, un’Italia che non c’è più in cui le donne del paese andavano a confessarsi dal parroco, i mariti erano costretti ad emigrare all’estero per poter lavorare, quando anche saper leggere o scrivere era considerato un lusso per la povera gente. Ma nulla è come appare e i piccoli drammi saltano subito fuori: ironica e un po’ malinconica, la commedia ha dei momenti di sfrenata comicità senza tralasciare però un tocco di drammaticità con una morte inaspettata (la tragedia di Marcinelle in Belgio rientra a pieno titolo nella struttura drammaturgica della vicenda). Insomma gli elementi nel testo del prolifico Gianni Clementi per tenere sulla corda il pubblico, per farlo ridere e commuovere in un continuo cambio di registro, ci sono davvero tutti. Ed è proprio la spontaneità, l’atmosfera da teatro popolare dai toni agrodolci che si respira in ogni momento uno dei pregi della commedia: il testo, i caratteri e i cliché rivitalizzati dagli attori diventano veri, quasi reali e la vicenda subito appassionante. C’è Don Ciro, il prete saggio e quasi anticonformista, pronto a tutto per il bene dei suoi fedeli, un sacerdote di buone intenzioni, Vincenzo, un sagrestano sfaticato e sfrontato con la mano offesa e claudicante che non sa neppure cantare l’Alleluja e naturalmente le donne del popolo. Rosa è una donna sposata che aspetta sesto figlio dal marito minatore costretto a lavorare in Belgio, ma ben presto si scopre che anche la sorella Filomena, non sposata, è in stato interessante…. I destini delle sorelle e del farmacista (sposato e con famiglia) del paesino di provincia sono destinati ad incrociarsi cambiando per sempre le loro vite in un climax inarrestabile fino all’imprevedibile svolta. La sagrestia diventa allora il crocevia d’incontro dei protagonisti che via via scorrono sotto gli occhi degli spettatori. Nicola Pistoia e Paolo Triestino (Ben Hur, Trote) sono poi eccezionalmente affiatati insieme e se Triestino interpreta il buon Don Ciro, perfetto nei movimenti, nell’imbarazzo e rassicurante nella spontaneità, Pistoia interpreta Vincenzo, la maschera più comica e malinconica dello spettacolo, irriverente e sfaticato, ma improvvisamente illuminato dalla fede: i loro battibecchi-scontri sono inimitabili. Brave anche Franca Abategiovanni (Donna Rosa) e Sandra Caruso (Donna Filomena) dalle corde più comiche. Dirige con equilibrio apparente e molto ritmo Nicola Pistoia che racchiude tutta la vicenda in un lungo flashback lasciando lo spiraglio di un finale poetico per ridere e per commuoversi. Lo spettacolo resta in scena per tutto il periodo natalizio, dal 20 dicembre all’8 gennaio al Teatro Vittoria di Roma.