Dal 31 gennaio al 5 febbraio sarà in scena al Teatro Carcano di Milano la nuova produzione CTB Teatro Stabile di Brescia in collaborazione con Le Belle Bandiere ANTIGONE ovvero Una strategia del rito da Sofocle. Elena Bucci e Marco Sgrosso ne sono gli interpreti principali, oltre a firmarne il progetto e l’elaborazione drammaturgica. Elena Bucci, in collaborazione con Sgrosso, ne è anche regista. Le Belle Bandiere, compagnia fondata nel 1992 da Bucci e Sgrosso, attori del nucleo storico del “Teatro di Leo” di Leo de Berardinis con il quale hanno lavorato dal 1985 al 2001, si distingue per la rilettura di testi classici in chiave contemporanea attraverso l’utilizzo di un linguaggio teatrale vicino alla sensibilità del nostro tempo. Tra i numeroso riconoscimenti ottenuti nel corso degli anni, il premio UBU 2000 a Elena Bucci come miglior attrice non protagonista per gli spettacoli Le regine e Riccardo III di Claudio Morganti e il premio “Altre muse” 2007 della rivista teatrale Hystrio per l’attività della compagnia.
Con l’allestimento di Antigone Le Belle Bandiere affrontano per la prima volta la tragedia greca, dopo gli apprezzatissimi lavori su testi di Shakespeare, Ibsen, Brecht e Goldoni: una scelta scattata sia per la necessità di ritrovare le fonti di un pensiero etico e politico che pare sbiadirsi di giorno in giorno, sia per il desiderio di tornare a riflettere sul mito come strategia di comunicazione che unisce e crea una comunità. Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Sociale di Brescia il 10 gennaio scorso.
Antigone di Sofocle colpisce soprattutto per la straordinaria nettezza nell’affrontare un tema mitico ma al tempo stesso di sconcertante attualità e per la sorprendente semplicità poetica di una lingua capace di attraversare il tempo e le mode, senza nulla perdere dello splendore diretto della sua comunicatività.
Grande tragedia di contrasti, limpidi e insanabili, a cominciare dal nucleo primario che oppone la ragione del cuore di Antigone alla ragione di stato di Creonte, figure mastodontiche nella loro umana vulnerabilità: sul corpo insepolto di Polinice, guerriero-eroe-traditore di una patria infettata dalla grande colpa di Edipo, si consuma lo scontro tra la pietas ostinata di Antigone, donna e sorella, e l’inflessibile rigore di Creonte, uomo e sovrano, specchio del conflitto insanabile tra la legge degli dèi e quella degli uomini.
Attorno a questo nucleo centrale, come in un caleidoscopio di nette rifrazioni, si generano a catena tutti gli altri contrasti, destinati a naufragare in punti di non-ritorno: l’opposizione viscerale delle sorelle che apre la tragedia, Antigone votata alla morte e Ismene foriera di vita; l’opposizione politico-generazionale tra Creonte padre-tiranno ed Emone figlio-ribelle; e quella etico-religiosa tra Creonte, invasato fino alla cecità nella difesa di un governo “sano” e il profeta Tiresia, maestro di visioni limpidi e terribili pur nelle ombre dei suoi occhi senza vista.
Da Edipo, capostipite del dramma, questo motivo della cecità – simbolica oltre che fisica – si rifrange fino ad un’assoluta irriducibilità dei contrasti che porterà tutti i personaggi alla sconfitta, nel dubbio se su questa terra sia possibile un gesto capace di conciliare il dolore con la Vita.
Lo spettacolo sviluppa un’idea di drammaturgia non solo “testuale”, ma anche musicale e coreografica, per riscoprire nella storia di Antigone tutta la freschezza e la potenza di un pensiero caro e desueto: nessuno può togliere la libertà di rinunciare a tutto, anche alla vita, per difendere un credo, un atto nobile, un’utopia.
Si ritrova in Antigone quella stessa motivazione ‘necessaria’ che ha probabilmente spinto autori come Anouilh e Brecht a riscrivere il mito adattandolo alla propria epoca: l’eterno conflitto tra legge ed etica, tra pietà e necessità, tra potere e libertà, tra amore e ragione, tra lucidità e cecità, tra buon senso e utopia, tra convenienza e coerenza.
In epoche tiepide e cariche di paura, pare salutare riflettere su un tema come questo.