Padre misogino e madre sottomessa, Paula già da adolescente ha voglia di fuggire da una famiglia che non la sa amare e da una scuola che la etichetta come una ragazzina stupida e amorale.
Tutto cambia quando, qualche anno dopo, diventa la “Signora” Spencer, la moglie di Charlo, il bello del quartiere, sicuro, vincente, carismatico. Lui la fa sentire amata, rispettata, temuta. Charlo è la felicità, il sesso, la speranza, il riscatto. Poi arrivano i figli. Charlo, che beve pesantemente, perde il lavoro e la vicenda precipita improvvisamente nelle profondità di un dolore fisico e psicologico, dove lo sbattere la testa nelle porte diventa per Paula metafora per nascondere la violenza subita dal marito. Così Charlo, poco alla volta, diventa l’inferno. Schiacciata dalla situazione anche Paula cerca rifugio nell’alcol. Piena di sensi di colpa nei confronti dei figli e di vergogna, non riesce a dire la verità ai medici, che forse non vedono o scelgono di ignorare la sua situazione.
Esattamente come il libro, scritto da Roddy Doyle con una sensibilità e una rara capacità di descrivere ed analizzare l’universo femminile (quasi una metamorfosi), il monologo teatrale si sviluppa come un flash back, narrato dalla protagonista dalla soglia della propria abitazione, nel momento in cui trova finalmente la forza di ribellarsi e riesce a buttare fuori di casa il marito.
Proprio per questo motivo Giorgio Gallione, assieme allo scenografo Guido Fiorato, ha scelto di ambientare lo spettacolo in una stanza interamente foderata di prato. Uno spaccato della casa degli Spencer, ma ibrido fra interno e esterno.
“Abbiamo portato in scena una storia tragica nel senso moderno del termine” dice il regista, “anche se a tratti felicità e sorriso si intrecciano al dramma, disegnando un ritratto di donna difficile da dimenticare”.