L’abbiamo vista tante volte, al cinema in deliziose commedie italiane, in televisione in programmi di varietà, nel teatro comico, spesso a fianco di Aldo Giovanni e Giacomo. Questa volta, però, Marina Massironi ha scelto di mettersi alla prova su un testo di tutt’altro tenore: La donna che sbatteva nelle porte, il romanzo di Roddy Doyle, adattato per la scena dal regista Giorgio Gallione. Un monologo duro, potente, a tratti raggelante, sulle violenze domestiche, fisiche e psicologiche, perpetrate ai danni di una donna di quasi 39 anni, madre di 4 figli, innamorata del proprio carnefice e sottomessa ai suoi pugni e alle sue minacce. Marina Massironi è Paula, questa donna cresciuta nella squallida periferia irlandese, tra molestie familiari, volgari apprezzamenti e crudeli appellativi della gente, ghettizzata in una vita che fin da piccola l’ha svuotata da dentro. L’incontro col futuro marito, un tipo cui carcere, cicatrici e modi di fare bruschi avevano dato un’aura di fascino irresistibile, l’aveva salvata, a suo dire: essere la signora Spencer le aveva dato rispettabilità e una casa, ma l’aveva anche fatta cadere nel baratro delle percosse e dell’alcolismo. Roddy Doyle, con grande capacità di scrittura, alterna il ricordo dei momenti tragici dei 17 anni di matrimonio della protagonista con aneddoti che fanno sorridere, in un continuum di flashback che danno un ritmo serrato allo spettacolo e che Marina Massironi interpreta con grande sensibilità, passando rapidamente da un registro all’altro, con una emotività drammatica da mettere i brividi, amplificata da musica e luci, muovendosi e trascinandosi su un palcoscenico che a sua volta dà un senso di disfacimento e degrado, tutto ricoperto da un prato verde dove ogni sera si compie un rito che segna il punto più basso cui è arrivata la sua esistenza. La donna che sbatteva nelle porte è anche una denuncia del sistema sociale che troppo spesso finge di non vedere i chiari segni di violenza e lascia le vittime sole, in una prigione da cui è difficile uscire.