Nella serata dedicata al ricordo di Antonia Pozzi, una delle più grandi poetesse italiane recentemente risuscitata da un lungo colpevole oblio, poco più di settanta persone hanno assistito al più emozionante spettacolo di questo scorcio di stagione. Relegato in una piccola sala, nemmeno piena, del teatro Franco Parenti, la bravissima Elisabetta Vergani per più di un’ora ci ha condotto in una sorta di full immersion nel mondo poetico di Antonia Pozzi, di questa straordinaria giovane donna che, attraverso la poesia, declina i ricordi della sua vita, le sue paure, le sofferenze, le speranze, i disperati tentativi da uscire dal tunnel (di cui non ha visto l’uscita) del “male di vivere”. La poetessa muore infatti suicida a soli ventisei anni nel 1938. Per portare sulle scene il racconto della vita di Antonia Pozzi, Elisabetta Vegani ne assume le vesti ed elabora la drammaturgia mischiando in un mirabile intreccio le sue poesie, i suoi diari e le numerose lettere scritte ad Antonio Maria Cervi, suo professore di greco al liceo Manzoni di Milano (e suo grande sfortunato amore), a Remo Cantoni, Dino Formaggio, alla famiglia Treves, Antonio Banfi e altri intellettuali milanesi. Scopriamo anche, attraverso le immagini delle fotografie scattate da lei stessa e proiettate sul grande schermo sul fondo della scena, il grande amore per la montagna e per le campagne lombarde che Antonia percorre in bicicletta e la dolorosa attenzione per le squallide periferie di Milano.
Le musiche dal vivo che il bravo Filippo Fano suona al pianoforte aumentano il tasso poetico della “parola” e moltiplica le emozioni. La macchina scenica (multimediale) funziona alla perfezione grazie alla regia di Maurizio Schmid. Di Elisabetta Vergani abbiamo già detto, si è calata nel personaggio con grande intensità graduando la voce, i tempi e la gestualità a seconda della drammaticità dei temi in una sorta di processo simbiotico di interiorizzazione che la fa apparire sulla scena, non come interprete, ma come la viva dolente poetessa. Molto funzionali le luci di Paolo Latini.