Non è vero che l’Italia sia una terra di Santi, Poeti e Naviganti, piuttosto una terra di valvassori con inclinazione ancillare, di opportunisti sempre pronti a saltare sul carro del vincitore, di irresponsabili pronti, ieri come oggi, a delegare fideisticamente all’uomo forte il proprio destino e quello del Paese. Dopo aver ascoltato le parole di Carlo Emilio Gadda dal panphlet “Eros e Priapo” (seconda pièce dello spettacolo) attraverso la mediazione del bravissimo Fabrizio Gifuni si rimane basiti dall’attualità del discorso. Lo scrittore parla di psicosi collettiva, di priapismo erotico. Scritto nel 1946 Il bersaglio non poteva essere che Mussolini, “il tracotante e smargiasso, tonitruante e scacarcione, narcissico, l’ippopotamo egolatra e dis-etico, reo di delirio esibitivo, fallocentrismo e virilità scenografica”. Il Primo ministro (di allora, non di ieri….) fa credere alle “vispofarfalline di essere il solo genitale-eretto disponibile sulla piazza”. E loro hanno risposto in virtù di un meccanismo di “consustanziazione narcissica”. Eros è il dio dell’ amore, simbolo di amicizia e dunque di armonia, Priapo è il simbolo dell’istinto sessuale e della forza generatrice maschile. Al centro dunque c’è la figura di Priapo, divinità fallica che simboleggia l’esaltazione maschilista, fallocratica, esibizionistica. E’ devastante la forza distruttrice dell’autore quando irride ai Gerarchi, povere marionette nelle mani del Mangiafuoco di turno (ieri appunto il Duce, oggi chissà) e prende di mira i rituali del fascismo: raduni oceanici, pompose divise, tonitruanti proclami, slogan di simil-patriottismo che (allora non c’era la televisione) producevano ed esaltavano il consenso.
Fabrizio Gifuni, movendosi su una scena spoglia svela il meccanismo di seduzione di cui lo stesso Gadda insieme a milioni di italiani è stato vittima e porta lo spettatore ad immergersi stupefatto, sconcertato e affascinato a farsi una quantità di domande in un vorticoso turbinio di parole e fantastiche invenzioni lessicali. Merito di Gifuni quello di far montare, in un crescendo inquietante, la ragione e l’emozione che esploderanno alla fine in un applauso (con una componente liberatoria) intenso e interminabili chiamate alla ribalta. Un vero trionfo.
La prima pièce dello spettacolo “L’ingegner Gadda va alla guerra” è dedicato ai ricordi del primo conflitto mondiale che lo scrittore affida ai suoi “Diari di guerra e di prigionia”. Da convinto interventista quale era, allo scoppio della guerra si arruolò nel V reggimento alpini, prese parte ad alcune azioni sull’ Adamello e venne fatto prigioniero e deportato in Germania. Al rientro apprese della morte del fratello Enrico in guerra.
Dall’esperienza della guerra, della sconfitta e della prigionia uscirà il diario dove l’orrore della guerra con le terribili privazioni, le sofferenze, il disordine morale, il disprezzo delle gerarchie e il grande dolore per la morte del fratello ci vengono raccontati dal bravissimo Gifuni che, con una suggestiva interpretazione, dà vita ai vari personaggi dei quali Gadda offre un toccante e sapido profilo psicologico. Il meritato, straordinario successo è dovuto anche all’ottima regia di Giuseppe Bertolucci.
Gli applausi appassionati uniscono in solo abbraccio autore e interprete.