La morte, la vita, la malattia, il dolore, la fede, l’amore in un’opera complessa, barocca e ricca di stili. Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano colto e raffinato, riservato insegnante liceale appassionato di lettura, morto nel 1996, nel libro che ha segnato la sua vita, Diceria dell’untore da cui è tratto lo spettacolo di Vincenzo Pirrotta, ha condensato la sua esperienza biografica e i temi caldi dell’esistenza dell’uomo. Iniziato nel 1950, tralasciato e poi ripreso nel 1971, tenuto nel cassetto fino al 1981, anno in cui si decise a pubblicarlo – vincendo anche il Premio Campiello – sotto l’insistenza di Elvira Sellerio e dell’amico Leonardo Sciascia, il romanzo affida ad un io narrante la rievocazione dei tragici anni dal ’44 al ‘46, passati in un sanatorio lottando contro la tubercolosi. Sulla scena il protagonista è Luigi Lo Cascio, attore di rilievo nel panorama cinematografico italiano, viso giovane capace di profonde introspezioni, del tutto a suo agio in un testo insidioso dalla non facile esegesi. Diceria dell’untore è un labirinto letterario, da cui affiorano il linguaggio altisonante dell’epica classica, il volteggiare onirico proustiano tra i meandri della memoria, il bagaglio culturale siciliano, fatto di simboli, canti e processioni, la fascinazione della morte alla Peter Greenaway, di cui lo scrittore, esperto cinefilo, era un estimatore, la magia ariostesca del castello di Atlante e la più cupa rappresentazione della Passione cristiana. Nella mente dell’autore il passato era sempre presente, col suo insistente pensiero di morte e il ricordo dell’amore per una donna (Vitalba Andrea), segnata nel corpo e nello spirito dalla malattia, unica fonte di speranza tra singulti di vita. Il regista si è lasciato cullare dalla marea verbale, ha assecondato nel prologo l’amore di Bufalino per la lirica e ha valicato i confini del testo con una mise en scene arricchita da corpi, fantasmi di se stessi, inquiete presenze che vagano attorno al protagonista su un palcoscenico dai molteplici piani ideato da Giuseppina Maurizi. In un dialogo affascinante con le parole, la musica e i passaggi sonori di Luca Mauceri lasciano il segno: sintetizzatori e veri strumenti, suonati dietro una cortina scenica, accompagnano la danza di morte degli attori e offrono leitmotive toccanti che smorzano la tensione drammatica dello spettacolo con una grazia leggera.
Sulla scena gli stessi Pirrotta nel ruolo del Gran Magro e Luca Mauceri, insieme a Giovanni Argante, Lucia Cammalleri, Andrea Gambadoro, Nancy Lombardo, Plinio Milazzo, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa, Alessandro Romano.
Musicisti Mario Gatto, Salvatore Lupo, Michele Marsella, Giovanni Parrinello.