Al Teatro Vascello di Roma rivive il mito del Don Giovanni di Molière, il classico dei classici, reso immortale da Mozart e Da Ponte. E se anche Kierkegaard ha cercato di cogliere l’essenza di questo amorale libertino figlio del Settecento (nonché precursore dell’Ottocento), intrappolato nello stadio estetico della vita, che arriva a rifiutare la redenzione in nome della libertà e a scegliere la dannazione, ritenendosi superiore alla moralità, l’adattamento drammaturgico di Alberto Di Stasio si presenta subito come un’interessante rilettura, articolata su tre diversi livelli. Da una parte, la magnifica musica di Mozart, dall’altra i quadri di Stefano Di Stasio (fratello del regista) di matrice contemporanea e ambivalente, e naturalmente la drammaturgia in scena, con soluzioni di forte tensione emotiva anche con la scena iniziale di notevole effetto. Manuela Kustermann (anche direttrice artistica del teatro) è il servo Sganarello e Fabio Sartor è Don Giovanni, diversi e complementari pilastri di questo spettacolo sempre in bilico fra fedeltà e innovazione rispetto al testo. Intorno a loro ruotano tutte le figure, vittime della seduzione di Don Giovanni, da Donna Elvira (l’addolorata Emanuela Ponzano che risveglia l’interesse del libertino solo quando gli si mostra indifferente) a Carlotta (la fresca Luna Romani). Ora, appare subito chiaro lo spettacolo è giocato soprattutto sull’ambiguità femminile-maschile. In quest’ottica la figura di Don Giovanni appare notevolmente ridimensionata e fin da subito: la regia e l’interpretazione, elegante e immorale, di Fabio Sartor ne fanno perdere forse un po’ il classico fascino, ma ne esaltano soprattutto i connotati cinici e di crudele indifferenza nella sua sventurata naturalezza di possedere avidamente ogni donna. La visione critica d’insieme fa emergere soprattutto la figura di Sganarello, la coscienza che tenta (invano) di redimere il padrone fino alla fine, interpretato da una magnifica Manuela Kustermann offrendo un’inedita visione tutta al femminile (con tanto di colpo di scena finale che getta una luce nuova sugli avvenimenti) e quasi oscurando il seduttore per eccellenza. La rilettura di taglio femminile viene ulteriormente rafforzata anche nella figura del Commendatore che qui diventa (un po’ discutibilmente) una donna (Gloria Pomardi, meno efficace quando dotata di parola) che però illumina con forza l’incipit del dramma sull’Ouverture mozartiana. Sicuramente lo spettacolo è molto interessante in un equilibrio fra aderenza al testo e innovazione, nella volontà di riattualizzare una decadenza che attraversa i secoli e che giunge inalterata fino a noi concedendosi forse qualche libertà di troppo in alcuni tratti (Don Giovanni che accusa i perbenisti ipocriti in una sorta di pamphlet finale). In un grande classico rivisitato, anche il finale è aperto a una rilettura visivamente truce con Don Giovanni letteralmente divorato dalle sue vittime. In scena al Teatro Vascello fino al 25 marzo.