Due donne, Franca e Leona si confrontano. Dapprima con diffidenza, poi il tono sale fino ai limiti di un misurato antagonismo, poi gli animi si aprono ad una reciproca confessione che si traduce in una sorta di autoanalisi con effetto liberatorio. Malgrado tutto le divida, il diverso clima culturale, diversa estrazione sociale, diversa età, diverso temperamento, diverse idee, alla fine le due ritrovano qualcosa che le unisce: la soggezione femminile al potere e, nel caso specifico, il comune destino frustrante di posizione ancillare nei confronti dei rispettivi uomini politici. Una sorta di catarsi collettiva, troppo tardi per Franca riprendersi la vita, in tempo per la giovane Leona. Ma comune è il senso di ribellione alla liturgia del partito, all’ipocrisia dei politici “amici”, all’emarginazione che comprime i loro bisogni di autenticità e di intimità. Franca è la settantenne vedova di Alcide De Gasperi, Leona la giovane Nilde Iotti compagna di vita e di lotta di Palmiro Togliatti.
Quello cui stiamo assistendo è un incontro che l’autore Antonio Tarantino definisce “immaginario”, frutto cioè di fantasia.
Ecco la storia: alla vigilia dei funerali di Togliatti, Leona decide di confidarsi con Franca, mai prima d’ora vista, una donna che ha accettato il ruolo di custode della memoria del marito. Leona, fra le due facce di Giano, non sa se soggiacere alle sempre più deboli pulsioni ideologiche che la spronano ad accettare le rigide regole del partito o rompere con quella vita eterodiretta e decidere liberamente del proprio futuro che la porta nelle braccia di un giovane comunista già emarginato dal partito. In realtà Leona, cosciente del rischio, ha deciso di tentare un gioco difficile, una sorta di roulette russa con una pistola a salve, nel senso che, in caso del prevedibile insuccesso, si sarebbe ritirata con tutti i suoi problemi irrisolti. Ma, al fuoco delle sincere emozioni della giovane, la grigia, algida sacerdotessa, dopo tanti anni passati con la testa rivolta all’indietro, guarda davanti a sé, prende atto di avere sacrificato una vita sull’altare della memoria, e si scioglie in una specie di atto liberatorio.
Sulla scena le due attrici si presentano al pubblico e si sistemano sui lati di una stanza davanti a un leggio. Sono nella casa di Franca in un luogo non luogo, in una stanza con le scene di un teatro. E’ il gioco del teatro nel teatro al quale la regista ricorre per dire che, siccome il teatro è finzione, la finzione della finzione partorisce la realtà, la verità di queste due donne che rivendicano il diritto alla libertà. Ed è proprio per questo comune destino da comprimarie, da vittime sacrificali, che le due attrici ad un certo punto si scambiano le parti La giovane Leona veste i panni della moglie di De Gasperi e Franca quelli della compagna di Togliatti.
La bravissima regista André Ruth Shammah non si fa (e ci fa) mancare nulla e, per uscire dalle maglie strette della lettura scenica (che pur stimola la creatività degli spettatori), fa entrare e uscire le attrici dai rispettivi personaggi per commentare fra di loro un passaggio del testo o rivolgersi al pubblico come voce narrante.
Le bravissime Ivana Monti e Laura Pasetti interpretano con intelligenza critica e con una spruzzata di ironia i ruoli di Leona e Franca. Bella e intrigante la scena del teatro di Maurizio Fercioni, così come la musica di Michele Tadini che accompagna con discrezione i sentimenti delle protagoniste e il contesto storico nel quale vivono. Il disegno luci di Gigi Saccomandi è, come al solito, perfetto. Intonati all’epoca e alla psicologia dei personaggi i costumi di Angela Alfano.
Della regista abbiamo detto. André Ruth Shammah mette, ancora una volta, le sue urgenze creative al servizio del TEATRO.