L’attività produttiva della nuova Pergola si apre con il grande gioiello dell’opera di Marivaux, portato in scena per la prima volta nel 1730 dagli attori della Comédie Italienne.
Piero Maccarinelli riscopre la squisita tessitura drammaturgica di Marivaux e del suo Gioco dell’amore e del caso nella versione e nell’adattamento di Giuseppe Manfridi per farne risaltare “tutta la sua inattuale contemporaneità” e raccontare le inquietudini, le tragicomiche ansie dell’essere innamorato, la paura del futuro, l’incertezza dell’essere amato, la comica e talora patetica posizione dell’amante rispetto all’amato e viceversa. Antonia Liskova, Paolo Briguglia, Francesco Montanari, Fabrizia Sacchi, volti noti al grande pubblico per una carriera artistica che spazia tra teatro, cinema e televisione, sono i protagonisti dello spettacolo insieme a Emanuele Salce e Sandro Mabellini.È un classica “commedia degli equivoci”: nella versione originale Orgone ha una figlia, Silvia, alla quale concede di vestire i panni della sua cameriera, Lisetta, con lo scopo di studiare segretamente i comportamenti del suo futuro sposo, il giovane Dorante. Anche Dorante, però, ha usato lo stesso stratagemma: mascherato da Arlecchino, suo servitore, studierà il comportamento di Silvia. Silvia e Dorante, nei panni dei rispettivi servi, si innamorano e la stessa cosa accade anche ai due servitori che indossano le vesti dei loro padroni. Attraverso uno stile gradevole e raffinato il teatro di Marivaux si sofferma a descrivere le mille sottigliezze dell’amore: al suo sorgere o nelle sue ambigue metamorfosi, nel suo urtarsi con le convenzioni sociali e mondane. Marivaux fa emergere le contraddizioni dei personaggi divisi tra l'”essere” e l'”apparire”, la verità e l’inganno e svela le pieghe nascoste del gioco della passione, mostrando l’essenza di una natura umana vacillante, incerta, piena di perplessità e interrogativi.
L’adattamento e la traduzione di Giuseppe Manfridi realizzano la duplice necessità del regista Maccarinelli di restituire la precisione della lingua e di avvicinare alla nostra sensibilità il conflitto fra classi sociali. “La versione italiana da noi proposta – spiega Manfridi – ha molto lavorato sull’impasto strutturale che Marivaux affida al suo vocabolario. Il Settecento implicito in appellativi del tipo ‘servo’ o ‘padrone’ è stato, ad esempio, messo in sordina per lasciar spazio a un codice impiegatizio capace di assorbire la piccola comunità della commedia in un mondo del lavoro prossimo al nostro, e che come il nostro abbia esperienza di crisi collettive e di manovre finanziarie indispensabili per riassestare i bilanci. Per questo motivo siamo stati indotti a immaginare che due grandi famiglie, due potenti dinastie, tentino una fusione societaria confidando in un matrimonio di convenienza tra i rispettivi rampolli a cui le nozze non verranno espressamente imposte, ma quasi. Un ‘quasi’ decisivo, poiché è qui che ha sede il cuore narrativo del Gioco, in questa ipocrisia di fondo per cui l’amore che provvidenzialmente avvincerà Silvia e Dorante consentirà un’apparenza di legittimità morale a un esito che, altrimenti, c’è da pensare sarebbe avvenuto comunque. Così, negli infingimenti e negli inganni orditi dalle autorità dominanti (gli adulti, i padri), la materia sentimentale e romantica darà l’illusione di prendere il sopravvento vestendo con parvenze di natura la grande macchina affaristica che in realtà manovra le cose del mondo.”
L’ambientazione riposa su un passato che si affaccia a un giardino dove la natura, indifferente al ritmo del discorso amoroso, è talora matrigna e talora complice affettuosa. Un’installazione di immagini dell’artista fiorentino Giacomo Costa accompagna il trascolorare di emozioni e sentimenti su un fondale a light box digitale, davanti al quale solo due grandi porte a imbotto e quattro poltrone dell’epoca staranno a indicare l’opulenza senza tempo dell’opera.
I costumi del premio Oscar Gabriella Pescucci, ( L’età dell’innocenza, Le avventure del barone di Münchausen, La fabbrica di cioccolato, La città delle donne, Il nome della rosa, C’era una volta in America, per citare solo alcuni dei suoi successi) giocheranno sulle asimmetrie del tempo, fra Capucci e Watanabe.
Il Settecento è dunque uno sfondo presente, ma rimanda alla contemporaneità dove i corpi e le voci dei quattro innamorati amati amanti daranno inizio al gioco accompagnati dalle complici musiche di Antonio Di Pofi.