Dostoevskij affida alle parole dell’ “uomo ridicolo” l’indagine sulla natura dell’uomo e la ricerca della felicità. Attraverso l’espediente del sogno, il protagonista del racconto approderà in una terra immaginaria popolata da uomini non contaminati dal peccato. Difficile non rimanere stregati dalla bellezza della prosa di F. M. Dostoevskij, che addita la speranza che la felicità sia, in qualche tempo e in qualche luogo, realizzabile, duratura e sociale.
Il protagonista (un pazzo? un visionario illuso? un predestinato?) è un tipico personaggio dello scrittore russo, un “umiliato e offeso”, che la notte in cui decide di uccidersi si addormenta,”sogna” il suo suicidio e, dopo la morte, un’altra vita su di un pianeta identico al nostro, una sorta di Eden in cui gli uomini vivono in un’armonia assoluta. Ma in sogno accadrà qualcosa che, una volta sveglio, cambierà la sua esistenza. In questa versione scenica attorialità ed emozione sono elementi fondanti. Dalla natura duplice dell’Uomo ridicolo, in cui si intrecciano accavallandosi bene e male, ingenuità e perfidia, slanci e apatìe, Dostoevskij fa emergere il suo straziante amore nei confronti della fragilità e della debolezza dell’essere umano. Ma l’Uomo ridicolo è tale anche per la sua disperata illusione di poter andare a raccontare, a “predicare”, ciò che ha visto nel sogno e cioè la salvezza dell’Umanità che passa attraverso la sua dannazione.
E qui Laruffa dichiara di entrare nel campo dei motivi irrazionali, emozionali (e personali) di questa operazione teatrale. “Sono partito da una immagine -dice- questa immagine volevo che rappresentasse una costrizione, una impossibilità; e l’ho realizzata (ho provato a realizzarla) legando il protagonista ad una sorta di lapide/sudario per tutta la durata dello spettacolo e scegliendo un repertorio sonoro che accrescesse il senso di questa struggente solitudine. La bianca lapide/sudario che spicca nel buio, dalla quale l’Uomo ridicolo fa uscire il suo fiume di parole, diventa un luogo ancestrale, immutabile, metafora dei limiti della condizione umana”. Francesco Laruffa, romano, interprete intenso e vibrante, è attore cresciuto con Fersen e con grandi nomi del teatro da Giuseppe Patroni Griffi, Armando Pugliese, Franco Zeffirelli e Gabriele Lavia, accanto ad artisti come Alida Valli, Mario Scaccia, Marisa Fabbri.
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