In questa nuova versione de “Le allegre comari di Windsor”, intrighi, scherzi, furberie, dominano e sfilano, secondo il tipico gusto shakespeariano, in uno spettacolo frizzante, musicale e di squisito intrattenimento. In scena un campionario della più svariata umanità: il bonario benestante, il meschino geloso, lo scaltro pedante, il servo scimunito, il pavido baciapile, l’ampolloso bottegaio, l’antipatico saccente. Ma su tutti trionferanno le donne, le Comari appunto.
Come racconta Fabio Grossi nelle sue note di regia, fu per volontà della regina Elisabetta I che il Bardo riesumò Sir John Falstaff, fatto morire nella sua precedente opera, l’Enrico V: nacque così “Le allegre comari di Windsor”. La smania della regina, come precisò pochi anni dopo un attento cronista shakespeariano, Nicholas Rowe, derivava da un suo divertito “invaghimento” per la poderosa figura comica di Falstaff; invaghimento che le istillò il desiderio di vederlo in un altro dramma, e per di più innamorato. Sicché, per non venir meno al dictat dell’imperiosa Elisabetta, Shakespeare avrebbe, non già “resuscitato” Falstaff, che è moderno espediente da soap-opera, ma escogitato l’intreccio narrativo delle Allegre comari collocandone la vicenda in un tempo immediatamente precedente alla morte del cavaliere, raccontata da Mistress Quickly, altro personaggio riproposto, nell’ Enrico V .
Anche nella divertente edizione dell’Eliseo, benché siano trascorsi secoli, tutto nasce sotto l’occhio vigile e severo della grande Regina: protagonista della vicenda è Sir John con le sue esuberanti smargiassate da guascone, la sua sovrabbondante figura, la sua pletorica simpatia cialtrona, il suo amore per il bicchiere e la sua irresistibile, endemica disonestà, viziosa e bonaria. I personaggi sono tanto pronti a impugnare le spade, a difesa di supposti e ridicoli onori, quanto a deporle per sostituirle con boccali di vino. Un ventaglio della più svariata umanità è protagonista della vicenda, come già detto, ma su tutti trionferanno le comari che, con furbizia e lungimirante intelligenza, collocheranno, in maniera indolore per la comunità, la parola fine alla vicenda del vanaglorioso Falstaff.
Quindi, amori e amanti, guasconi maldestri e burocrati vacui, mariti gelosi e golosi mercanti, mercenari allettanti ed infingardi, ci racconteranno la storia che , come nelle migliori tradizioni teatrali, verrà in alcuni parti rafforzata dalla partitura musicale, sottolineando di volta in volta momenti o comici, o grotteschi, o romantici.
Alla fine, l’amore giovanile uscirà trionfante, la smania tardiva gabbata, in un turbinio, ammantato da magiche visioni, che concluderà riportando nelle proprie case i protagonisti, lasciando Falstaff, il grasso e grosso personaggio principale, a tirar le fila di una vita vissuta ai margini, ma con l’onore della consapevolezza.Il regista, proponendo agli spettatori invece dei cinque atti della versione originale, i canonici e moderni “due più intervallo”, tratteggia la commedia con allusioni al nostri tempo e alle nostre vicende sociali, sottolineando con lo scherzo, il tratto comune di una società che in ogni epoca ripete i suoi stilemi, nei confronti di chi viene considerato un diverso, sia per aspetto, che per attitudini o usi. Un classico della produzione shakespeariana, sempre terribilmente al passo con i tempi.
Con Leo Gullotta in scena un cast di attori di grande livello come Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini e ancora Rita Abela, Fabrizio Amicucci, Valentina Gristina; le scene e gli splendidi costumi dello spettacolo sono di Luigi Perego, le musiche di Germano Mazzocchetti, i movimenti coreografici di Monica Codena, le luci di Valerio Tiberi.