Dal 24 al 29 aprile 2012 – PRIMA NAZIONALEFondazione Teatro della Pergola presenta
IL GIOCO DELL’AMORE E DEL CASO
di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux
versione e adattamento Giuseppe Manfridi
con (in ordine alfabetico) Paolo Briguglia, Antonia Liskova, Francesco Montanari, Fabrizia Sacchi
e con Emanuele Salce e Sandro Mabellini
scene Giacomo Costa
costumi Gabriella Pescucci
musiche Antonio Di Pofi
light designer Umile Vainieri
regia Piero Maccarinelli
La prima produzione teatrale della nuova Fondazione Teatro della Pergola di Firenze Il gioco dell’amore e del caso di Marivaux, diretto da Piero Maccarinelli, con un cast di protagonisti impegnati in teatro, cinema e tv: Paolo Briguglia, Antonia Liskova, Francesco Montanari e Fabrizia Sacchi.
Costumi e scene portano le firme dell’eccellenza artistica toscana famosa nel mondo: il premio Oscar Gabriella Pescucci e il visual-artist Giacomo Costa.
Nel Seicento e nel Settecento l’attività della Comédie Italienne tenne particolarmente in luce il nome dell’italianità nella prestigiosa Parigi, capitale europea. Furono gli attori italiani a portare al successo tante opere dei commediografi dell’epoca; in particolare Il gioco dell’amore e del caso di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, che tenne la ribalta nel gennaio 1730 per quindici applauditissime repliche. L’attività produttiva della nuova Pergola si apre proprio con questo gioiello della drammaturgia settecentesca, che ha in sé il germe della grande tradizione del teatro “all’italiana”.
Piero Maccarinelli riscopre la squisita tessitura drammaturgica di Marivaux nella versione e nell’adattamento di Giuseppe Manfridi per farne risaltare “tutta la sua inattuale contemporaneità” e raccontare le inquietudini, le tragicomiche ansie dell’essere innamorato, la paura del futuro, l’incertezza dell’essere amato, la comica e talora patetica posizione dell’amante rispetto all’amato e viceversa.
Paolo Briguglia, Antonia Liskova, Francesco Montanari, Fabrizia Sacchi, volti noti al grande pubblico per una carriera artistica che spazia tra teatro, cinema e televisione, sono i protagonisti dello spettacolo insieme a Emanuele Salce e Sandro Mabellini.
Paolo Briguglia al cinema è stato, tra i tanti ruoli interpretati, il fratello di Peppino Impastato nei Cento passi di Giordana e la recluta imprigionata nel deserto di El Alamein per la regia di Monteleone; Antonia Liskova è la protagonista della serie televisiva Tutti pazzi per amore ed è al suo debutto assoluto in teatro; Francesco Montanari, già con Albertazzi, Guicciardini e Salveti in teatro, è il Libanese della serie televisiva Romanzo Criminale; Fabrizia Sacchi, in teatro con spettacoli di Leo De Berardinis e Alvis Hermanis, è nel cinema di Risi, Calopresti e Virzì, e in televisione nelle serie di Medicina Generale.
Sandro Mabellini ha percorso le scene di Bertolucci, Torrini e Tiezzi, Emanuele Salce quelle di Scola, Risi e Avati, ed è oggi in tv nel cast di Nero Wolfe.
I costumi portano la firma e tutto il prestigio del premio Oscar Gabriella Pescucci e si accomodano tra le scene di Giacomo Costa artista visivo dalla fama internazionale.
Il gioco dell’amore e del caso è una classica “commedia degli equivoci”: nella versione originale Orgone ha una figlia, Silvia, alla quale concede di vestire i panni della sua cameriera, Lisetta, con lo scopo di studiare segretamente i comportamenti del suo futuro sposo, il giovane Dorante. Anche Dorante, però, ha usato lo stesso stratagemma: mascherato da Arlecchino, suo servitore, studierà il comportamento di Silvia. Silvia e Dorante, nei panni dei rispettivi servi, s’innamorano e la stessa cosa accade anche ai due servitori che indossano le vesti dei loro padroni. Attraverso uno stile gradevole e raffinato il teatro di Marivaux si sofferma a descrivere le mille sottigliezze dell’amore: al suo sorgere o nelle sue ambigue metamorfosi, nel suo urtarsi con le convenzioni sociali e mondane. Marivaux fa emergere le contraddizioni dei personaggi divisi tra l'”essere” e l'”apparire”, la verità e l’inganno e svela le pieghe nascoste del gioco della passione, mostrando l’essenza di una natura umana vacillante, incerta, piena di perplessità e interrogativi.
L’adattamento e la traduzione di Giuseppe Manfridi realizzano la duplice necessità del regista Maccarinelli di restituire la precisione della lingua e di avvicinare alla nostra sensibilità il conflitto fra classi sociali. “La versione italiana da noi proposta – spiega Manfridi – ha molto lavorato sull’impasto strutturale che Marivaux affida al suo vocabolario. Il Settecento implicito in appellativi del tipo ‘servo’ o ‘padrone’ è stato, ad esempio, messo in sordina per lasciar spazio a un codice impiegatizio capace di assorbire la piccola comunità della commedia in un mondo del lavoro prossimo al nostro, e che come il nostro abbia esperienza di crisi collettive e di manovre finanziarie indispensabili per riassestare i bilanci. Per questo motivo siamo stati indotti a immaginare che due grandi famiglie, due potenti dinastie, tentino una fusione societaria confidando in un matrimonio di convenienza tra i rispettivi rampolli a cui le nozze non verranno espressamente imposte, ma quasi. Un ‘quasi’ decisivo, poiché è qui che ha sede il cuore narrativo del Gioco, in questa ipocrisia di fondo per cui l’amore che provvidenzialmente avvincerà Silvia e Dorante consentirà un’apparenza di legittimità morale a un esito che, altrimenti, c’è da pensare sarebbe avvenuto comunque. Così, negli infingimenti e negli inganni orditi dalle autorità dominanti (gli adulti, i padri), la materia sentimentale e romantica darà l’illusione di prendere il sopravvento vestendo con parvenze di natura la grande macchina affaristica che in realtà manovra le cose del mondo.”
L’ambientazione riposa su un passato che si affaccia a un giardino dove la natura, indifferente al ritmo del discorso amoroso, è talora matrigna e talora complice affettuosa. Un’installazione fatta d’immagini elaborate secondo il proprio personalissimo stile dall’artista fiorentino Giacomo Costa accompagna il trascolorare di emozioni e sentimenti su un fondale a light box digitale, davanti al quale solo due grandi porte a imbotto e quattro poltrone dell’epoca staranno a indicare l’opulenza senza tempo dell’opera.
I costumi del premio Oscar Gabriella Pescucci (L’età dell’innocenza, Le avventure del barone di Münchausen,La fabbrica di cioccolato, La città delle donne, Il nome della rosa, C’era una volta in America,per citare solo alcuni dei suoi successi) giocheranno sulle asimmetrie del tempo, fra Capucci e Watanabe: “Marivaux è un grande conoscitore del comportamento umano, i suoi giochi, schermaglie, battibecchi, fra un uomo e una donna, sono ancora oggi credibili. Per questo, quando il regista Piero Maccarinelli, mi ha suggerito di fare i vestiti contemporanei, vicino a noi, ho subito condiviso l’idea! Le ispirazioni sono state tante, ho cercato di fare abiti allegri, che seguissero il divertimento del testo.”
Il Settecento è dunque uno sfondo presente, ma rimanda alla contemporaneità dove i corpi e le voci dei quattro innamorati amati amanti daranno inizio al gioco accompagnati dalle complici musiche di Antonio Di Pofi e dal disegno luci di Umile Vainieri.
Paola Pace – Ufficio Stampa Fondazione Teatro della Pergola
055/2264347 tel. 349/7129219 mob. 055/245346 fax stampa@teatrodellapergola.com skype paola-pace
Il gioco dell’amore e del caso – note di Piero Maccarinelli
Anni fa ho messo in scena “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, un libro chiave per la mia generazione. Da allora desideravo affrontare la squisita tessitura drammaturgica di Marivaux e del suo gioco. Le inquietudini, le tragicomiche ansie dell’essere innamorato, la paura del futuro, l’incertezza dell’essere amato, la comica e talora patetica posizione dell’amante rispetto all’amato e viceversa… Due aspetti di questo testo mi lasciavano perplesso: la traduzione del linguaggio di Marivaux, in un corrispettivo italiano che ne restituisse la precisione, e la possibilità di avvicinare alla nostra sensibilità il conflitto fra classi sociali. L’adattamento e la traduzione operata in accordo con Giuseppe Manfridi hanno sciolto queste perplessità e ora, per me, il gioco risplende in tutta la sua inattuale contemporaneità.
Quello che sorprende è il ritmo del tempo, le improvvise accelerazioni, le vertigini del vuoto e dell’assenza che possono essere giocate dalle due coppie di innamorati e controllate dal padre e dal fratello.
La nostra ambientazione riposa su un passato che si affaccia a un giardino dove la natura, indifferente al ritmo del discorso amoroso, è talora matrigna e talora complice affettuosa.
Ho chiesto a Giacomo Costa una sua installazione: un fondale a light box digitale, davanti al quale solo due grandi porte a imbotto e quattro poltrone dell’epoca staranno a indicare l’opulenza senza tempo di Orgone.
Anche i costumi di Gabriella Pescucci giocheranno sulle asimmetrie del tempo, fra Capucci e Watanabe.
Il Settecento, dunque, come sfondo presente, ma che rimandi alla contemporaneità, dove i corpi e le voci dei quattro innamorati amati amanti – Antonia Liskova, Francesco Montanari, Paolo Briguglia, Fabrizia Sacchi – potranno farci godere dell’eterno gioco dell’amore e del caso, accompagnati da Emanuele Salce e Sandro Mabellini e dalle complici musiche di Antonio Di Pofi.
E come diceva Barthes “ll discorso amoroso è forse parlato da migliaia di individui, ma non è sostenuto da nessuno… è il luogo di un’affermazione…”.
E Marivaux questo lo aveva genialmente capito, al di là del “maurivaudage”.
Piero Maccarinelli
Il gioco dell’amore e del caso – note di Giuseppe Manfridi
La geometria della struttura, in queste pagine, passa attraverso la geometria del linguaggio; ossia, attraverso la nominazione tout court e le varie maniere che i personaggi usano per identificarsi in quanto servi, in quanto padroni, in quanto datori di lavoro e in quanto subalterni. E dunque, in quanto innamorati inespressi o in attesa di una dichiarazione altrui. Quanta prodigiosa anagrafe battesimale intercorre nei dialoghi della commedia a pilotarne il senso e a determinarne gli esiti!
Elias Canetti disse di Kafka che seppe percepire la poesia nascosta nelle aridità dei grovigli burocratici. Se così è, e riteniamo che lo sia, Marivaux, prima di Kafka, riuscì a esprimere la vita per tramite della sua epidermide quintessenziale: il gioco mondano degli alterchi dialettici, e in tal modo ha saputo raffigurare gli abissi della psiche umana senza doverli penetrare ma solo ritraendoli a pelo d’acqua. Questo apparente controsenso, questa sorta di ossimoro concettuale, vuole rendere omaggio all’ineffabile leggerezza di un autore che mai segnala la fatica della costruzione letteraria nelle parole che ci dona. Tutto ci giunge da lui disinfettato e puro, quasi come una manifestazione di stile assoluto che abbia disperso ogni traccia della fucina in cui ha preso forma. Viene in mente la splendida metafora di Raffaele La Capria che equipara il limpido dipanarsi della frase perfetta allo scivolare dell’anatra sulla superficie lacustre: pare cosa ovvia quel fluire del corpo nel paesaggio, ma perché esso avvenga, a che frenetico lavorio sommerso sono costrette le zampine dell’animale! Sicché, laddove si ha l’impressione che il motore non sia in alcun punto, vuol dire che invece il motore è ovunque. Fuor di metafora e riferendoci direttamente alla commedia che presentiamo, il motore dell’azione drammatica è perciò in ogni parola, in ogni sillaba, in ogni interpunzione del testo.
Anche una lettura sommaria dell’opera ci annuncia che in questa storia il contrasto fra classi sociali innerva tutto: le più sparute pause, i soprassalti delle esclamazioni, i singoli vocaboli e gli innumerevoli aggettivi; sennonché, in un prodigioso sovrapporsi di scrittura a scrittura e senza che ciò aumenti la gravità della materia letteraria, le stesse esclamazioni e gli stessi vocaboli raccontano pure l’articolato intreccio amoroso che da quel dibattito sociale viene prima filtrato e poi destinato a impreviste risoluzioni.
Oggi parleremmo, parafrasando il titolo, di uno spettacolare gioco di ruoli in cui, per buon tratto della vicenda, ogni personaggio, mascherando se stesso presso alcuni ma non presso altri, si trova ad essere depositario di una porzione di realtà nota solo a lui, e questo mentre gli altri protagonisti agiscono nei suoi confronti allo stesso modo. A risultarne, è un ordigno comico irresistibile che ha la perfezione di una macchina celibe. Il mondo come teatro annunciato da Shakespeare si risolve così ne ‘Il gioco dell’amore e del caso’ in un nuovo hortus conclusus autarchico e autofunzionante, in cui nulla manca, in cui tutto è spasso, e in cui lo spasso è la grana stessa in cui si traduce la difficoltà di vivere.
La versione italiana da noi proposta ha molto lavorato sull’impasto strutturale che Marivaux affida al suo vocabolario. Il Settecento implicito in appellativi del tipo ‘servo’ o ‘padrone’ a cui ci riferivamo nelle prime righe è stato, ad esempio, messo in sordina per lasciar spazio a un codice impiegatizio capace di assorbire la piccola comunità della commedia in un mondo del lavoro prossimo al nostro, e che come il nostro abbia esperienza di crisi collettive e di manovre finanziarie indispensabili per riassestare i bilanci. Per questo motivo siamo stati indotti a immaginare che due grandi famiglie, due potenti dinastie, tentino una fusione societaria confidando in un matrimonio di convenienza tra i rispettivi rampolli a cui le nozze non verranno espressamente imposte, ma quasi. Un ‘quasi’ decisivo, poiché è qui che ha sede il cuore narrativo del Gioco, in questa ipocrisia di fondo per cui l’amore che provvidenzialmente avvincerà Silvia e Dorante consentirà un’apparenza di legittimità morale a un esito che, altrimenti, c’è da pensare sarebbe avvenuto comunque.
Così, negli infingimenti e negli inganni orditi dalle autorità dominanti (gli adulti, i padri), la materia sentimentale e romantica darà l’illusione di prendere il sopravvento vestendo con parvenze di natura la grande macchina affaristica che in realtà manovra le cose del mondo.
Giuseppe Manfridi