Andata in scena a Venezia nel 1760, “I Rusteghi” costituisce uno dei vertici assoluti della drammaturgia goldoniana. Come ebbe modo di spiegare Goldoni nelle Memorie, “rusteghi” sono «uomini di rigida maniera ed insociabili, seguaci degli usi antichi, e nemici terribili delle mode, del divertimento e delle conversazioni del secolo». I rusteghi sono l’espressione della società borghese, gretta, prepotente e perbenista che si oppone ai cambiamenti che l’illuminismo sta diffondendo nella cultura europea.
La vicenda si svolge a Venezia ed ha per protagonisti quattro rusteghi, quattro padri padrone che tiranneggiano sulle mogli e pretendono di combinare le nozze dei figli senza nemmeno dargli la possibilità dei conoscersi. “Quattro tangheri cespugliosi e scagliosi e incessantemente nostalgici” come li definì E.F.Palmieri alle prese con le ribellioni e gli umori frizzanti di mogli e figlie e con la sopravvenuta consapevolezza di una solitudine arroccata che fa loro confessare “senza donne no sei poi star”.
Dopo aver tolto dalla scena le maschere, Goldoni le sostituisce di volta in volta con un “carattere”. E non c’è dubbio che quello del rustego riflette la maschera di Pantalone.
La commedia analizza anche la condizione femminile e la sua nascente emancipazione, laddove l’uomo rappresenta il passato, e la donna l’equilibrio, la serenità e il progresso.
“La commedia si caratterizza per un’analisi psicologica particolarmente attenta, che trova riflesso anche sul piano linguistico, laddove il dialogo brioso e spumeggiante delle donne si contrappone a quello cupo e iroso degli uomini”.
A questo punto dobbiamo tirare in ballo la teoria delle aspettative. I ricordi del passato a volte condizionano, e, se il processo di rimozione non funziona, ci limitano la capacità di giudizio. Confesso di essere andato a teatro con impresso nella memoria e negli occhi la versione di Squarzina (con Volonghi, Milli, Pagni, Battain) e, in subordine quella di Castri. Mi sono dunque trovato ad assistere ad uno spettacolo ben confezionato dal regista Gabriele Vacis che ha imposto ai bravissimi attori (un Natalino Balasso in grande spolvero, Juirij Ferrini, Eugenio Allegri e Mirko Artuso) un ritmo e una gestualità volutamente sopra le righe, così come abbiamo apprezzato le invenzioni dello scenografo Roberto Tarasco. Tutto bene dunque? Sì perché questi Rusteghi sono da Goldoni, non di Goldoni. Quindi la rilettura di Vacis (pur filologicamente corretta) non consente confronti in termini non omogenei. La rielaborazione drammaturgica dell’autore/ regista ha cancellato (per buona parte della commedia) i meravigliosi colori della lingua veneta, ha introdotto riferimenti attuali che hanno suscitato fra gli spettatori approvazione e risate, ha fatto uscire gli attori dai personaggi (secondo uno schema abusato) e interagire con gli spettatori divertiti. Ne è venuto fuori uno spettacolo sullo stile dei bravissimi “Quelli di Grock e talvolta (ma, per fortuna, raramente) dei “Legnanesi”.
Per concludere spettacolo “oggettivamente” ben fatto, molto divertente e di grande successo.
“Rusteghi. I nemici della civiltà” da Carlo Goldoni di Gabriele Vacis
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