Dramma buffo in tre atti
Libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di GAETANO DONIZETTI
(Revisione secondo la partitura autografa di Piero Rattalino;
Edizioni Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano)
Direttore ENRIQUE MAZZOLA
Regia JONATHAN MILLER
Scene e costumi ISABELLA BYWATER
Luci JVAN MORANDI
Produzione del Teatro Comunale di Firenze (2001)
In collaborazione con Accademia Teatro alla Scala
Solisti dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala
Orchestra e Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro ALFONSO CAIANI
Personaggi e interpreti principali
Don Pasquale Michele Pertusi (30 giugno; 3, 6, 9, 12, 14 luglio)
Nicola Alaimo (4, 10, 13 luglio)
Malatesta Christian Senn (30 giugno, 3, 6, 9, 12, 14 luglio)
Filippo Polinelli (4, 10, 13 luglio)
Ernesto Celso Albelo (30 giugno, 3 luglio)
Leonardo Cortellazzi (4, 10, 13 luglio)
Shalva Mukeria (6, 9, 12, 14)
Norina Pretty Yende
Un notaro Mikeil Kiria
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Date:
Sabato 30 giugno 2012 ore 20 ~ prima rappresentazione
Martedì 3 luglio 2012 ore 20 ~ turno M
Mercoledì 4 luglio 2012 ore 20 ~ fuori abbonamento
Venerdì 6 luglio 2012 ore 20 ~ turno N
Lunedì 9 luglio 2012 ore 20 ~ turno O
Martedì 10 luglio 2012 ore 20 ~ fuori abbonamento
Giovedì 12 luglio 2012 ore 20 ~ fuori abbonamento
Venerdì 13 luglio 2012 ore 20 ~ fuori abbonamento
Sabato 14 luglio 2012 ore 20 ~ fuori abbonamento
Prezzi: da 187 a 10 euro
Infotel 02 72 00 37 44
L’opera in breve
Claudio Toscani
Un vecchio avaro che si sente cogliere da
pruriti amorosi e vorrebbe sposare una
donna molto più giovane, esponendosi al
ridicolo; una ragazza scaltra che lo beffa;
un giovane e sentimentale innamorato;
un intrigante che bada al suo tornaconto:
nell’intreccio del Don Pasquale sembrano
esserci tutti gli ingredienti della tradizionale
opera buffa settecentesca, basata su
situazioni e personaggi stereotipi, comuni
del resto al teatro comico di tutti i tempi.
Non è più originale la specifica declinazione
della storia sceneggiata dal libretto,
che rifà un vecchio lavoro preparato nel
1810 da Angelo Anelli per la musica di
Stefano Pavesi, Ser Marcantonio, ancora
ampiamente in circolazione all’epoca del
Don Pasquale. Donizetti incaricò del rifacimento
il patriota mazziniano Giovanni
Ruffini, esule a Parigi e librettista debuttante;
ma il compositore sorvegliò strettamente
la stesura del libretto, tenendo bene
in vista le caratteristiche dei quattro
cantanti di punta che si sarebbero esibiti
nei ruoli principali al Théâtre Italien – il
soprano Giulia Grisi, il tenore Mario [sic],
il baritono Antonio Tamburini e il basso
Luigi Lablache – e scrivendo molte scene
di suo pugno (alla fine gli interventi di
Donizetti risultarono così ‘invasivi’ che
Ruffini si rifiutò di firmare il libretto).
Apparentemente, dunque, Don Pasquale
riporta in scena un prodotto del passato,
costruito su uno schema convenzionale
(la coppia di giovani che si amano, il vecchio
che li ostacola, un aiutante che sventa
i suoi piani) e tipicamente italiano; il
che equivale, in certa misura, a risuscitare
un genere antico, che a lungo aveva tratto
alimento dal repertorio delle maschere
della commedia dell’arte italiana, ma che
all’epoca era ormai morto e sepolto. In
realtà, che le cose non stessero esattamente
in questi termini fu evidente già alla
prima rappresentazione. Donizetti insistette
per una messinscena attualizzante:
la storia doveva svolgersi nella Roma
contemporanea, i personaggi dovevano
vestire alla moda, con costumi «alla borghese
moderna». L’effetto fu in qualche
modo spaesante per un pubblico che si
attendeva i costumi tradizionali dell’opera
buffa settecentesca: un genere in cui
l’inverosimiglianza e la stereotipia degli
intrecci sembravano richiedere un’ambientazione
irrealistica, o almeno retrodatata.
Questa scelta è il presupposto indispensabile
all’operazione ideata da Donizetti:
utilizzare un vecchio modello, ma modificarlo
sino a stravolgerlo per raccontare
una storia e mettere in scena personaggi
molto più reali.Al posto di astrazioni marionettistiche,
infatti, Don Pasquale propone
personalità credibili e coerenti; ai
‘tipi’ del teatro comico sostituisce personaggi
dalla spiccata umanità e caratterizzati
con cura. Il protagonista, per esempio,
pur esprimendosi spesso con la sillabazione
rapida dello stile buffo non incarna
solo la figura del vecchio che si rende
ridicolo con le sue smanie amorose, ma è
anche personaggio degno di commiserazione,
come dimostrano le scene in cui
espone sincero i suoi intimi sentimenti o
la scena cruciale dello schiaffo, che suscita
empatia e che segna una svolta decisiva
dell’opera verso il tono ‘serio’. E anche
la figura del giovane innamorato, caratterizzata
in senso fortemente sentimentale
e patetico, si sottrae agli stereotipi della
tradizione comica. Lo spettatore, in altri
termini, è invitato a partecipare emotivamente
alla sorte dei personaggi in scena,
rispecchiandosi in essi e attuando quel
meccanismo di identificazione che è un
presupposto essenziale del melodramma
ottocentesco. Un meccanismo che lo differenzia
dall’opera buffa tradizionale nella
quale è invece essenziale, per l’effetto
comico, che tra la scena e lo spettatore si
stabilisca una ben percepibile distanza
emotiva.
L’ambientazione contemporanea, allora,
è tanto più necessaria all’azione. Non lo è
meno un’intonazione musicale che, invece
di insistere su recitativi secchi convenzionali
o su numeri chiusi dalle forme rigide
e ripetitive, predilige il discorso fluido,
il tono da conversazione, le forme che
trapassano scorrevoli l’una nell’altra producendo
un’impressione di naturalezza. Il
realismo con cui vengono trattati i personaggi,
qui, si colloca agli antipodi del teatro
comico rossiniano, in cui un meccanismo
a orologeria cattura i personaggi riducendoli,
ironicamente, a marionette. E
la trama del Don Pasquale può fare tranquillamente
a meno degli ingegnosi stratagemmi
e degli artifici d’intreccio comuni
nel genere dell’opera buffa.
Quella del Don Pasquale, in definitiva, è
una comicità complessa, a volte incline al
farsesco ma a volte intrisa di un lirismo
malinconico – come avviene, per esempio,
nelle arie ‘patetiche’ di Norina e di Ernesto
– lontano dal vecchio sentimentalismo
di maniera. E la moderna reinterpretazione
di un intreccio tutt’altro che nuovo fa
sì che l’apparente anticaglia sia, in realtà,
percorsa da un soffio assolutamente vitale.
Infatti Don Pasquale fu accolto, il 3
gennaio 1843 al Théâtre Italien, da un
grande entusiasmo. Ma l’opera composta
da Donizetti era destinata a restare uno
splendido esempio isolato. L’opera buffa
era ormai al termine della sua gloriosa
tradizione e in seguito si sarebbe orientata,
in Italia come nel resto d’Europa, verso
l’operetta.