Iniziamo dalla fine, dagli applausi interminabili che sembravano non voler più far scendere dal palco i nove ballerini. A sottolineare il pieno apprezzamento del pubblico per questa danza di gioia pura e di pura gestualità, di un atletismo evidente eppure reso nascosto dalla profondità dei movimenti, per la sapiente e precisa capacità figurativa espressa mediante la totale autonomia dei soli corpi e null’altro. Lo Spellbound Contemporary Ballet si è confermato come uno dei vertici della nuova coreografia italiana. Martedì 31 luglio scorso hanno presentato a Roma, nell’ambito della rassegna internazionale di balletto “Invito alla danza” (diretta da Marina Michetti), giunta quest’anno alla ventiduesima edizione, che si tiene nel Teatro all’interno di Villa Doria Pamphilj, uno spettacolo composto di due lavori: “Lost for words”, già proposto come studio nel luglio 2011 nella rassegna Avvertenze Generali, qui rappresentato nella sua versione estesa, e “Bachiana”, creazione del 2010, interpretata con un nuovo allestimento.
“La danza è un oceano dove immergersi senza sapere cosa ci sia sotto, cosa potrebbe arrivare dalla profondità. La danza, per me, è come fare un bagno in un oceano inesplorato”. Così Mauro Astolfi (in una recente intervista), 49 anni, direttore e coreografo della compagnia. Allievo dei grandi maestri americani Merce Cunningham e Paul Taylor, fonda l’ensemble nel 1994, da allora segnato da uno stile personale sempre più riconoscibile e da un crescente successo internazionale (che quest’anno lo ha spinto in giro per il mondo: Germania, Stati Uniti, Spagna, Russia, Francia, Thailandia). Il suo “oceano inesplorato” è in realtà una mutazione, in cui la danza si spoglia delle sue nuove tradizioni – come il gioco con la forza di gravità della contact improvisation, la fluidità di estrazione realese, il contatto energetico con il pavimento – per avventurarsi in complesse sequenze di micromovimenti, in un’espressività che è, nel contempo, esatta percezione della propria realtà fisica e “moto a luogo”, dall’interno verso l’esterno.
Entrambe le coreografie presentate al Teatro di Villa Doria Pamphilj ben testimoniano la ricerca interiore di Astolfi e della sua compagnia. Ma se in “Bachiana” prevalgono ritmicità e coralità, in un dialogo contrastato con le partiture musicali del compositore tedesco (cui il coreografo offre un amoroso tributo), è in “Lost for words” che la ricerca meglio si esprime. Un non-racconto affidato a torsioni e movimenti incessanti: un’umanità separata, immersa in un’intensa luce ambrata che rende i corpi infuocati, alla ricerca di un risveglio, di quel contatto che è difesa da una contemporaneità in cui la parola è soltanto afasia. È qui, in quest’opera, che il Spellbound Contemporary Ballet dà forma al proprio pensiero: un continuo alternarsi di virtuosismi individuali, passi a due e diacronie collettive, in cui la parola è il corpo, lasciato libero nella sua dinamica potenza, nell’accoglienza dell’altro, nella plasticità dell’incontro.