(12 agosto, prima)
Un’opera buffa, già di per sé accessibile a tutti, può essere anche un po’ caricata per compiacere i più restii, purché non se ne falsi lo spirito e la musica.
La farsa per musica di Foppa e Rossini (1813), intitolata Il Signor Bruschino ossia il figlio per azzardo, è stata presentata al Teatro Rossini di Pesaro come un’attrazione per turisti, dove gli attori cantanti rappresentavano il passato e l’ambiente e i personaggi aggiunti il presente.
L’idea registica scaturita dal collettivo del Teatro Sotterraneo di Firenze ha esaltato la vena comica della storia, ridicolizzando le manie dei personaggi, facendoli muovere come manichini in sgargianti costumi e parrucche di foggia settecentesca su pedane mobili o come artisti di strada – una sorta di rappresentazione in piazza per turisti e passanti che mangiano pop corn – in una Rossiniland contemporanea, con tanto di supermercato, banca, negozi, la locanda di Filiberto, cabina telefonica e insegne luminose e direzionali, tipo La Gazza ladra, Guglielmo Tell o Osteria da Filiberto, attorno all’appartamento terrazzato di Gaudenzio.
A dire il vero erano più i personaggi di passaggio (aggiunti) che i protagonisti della commedia (solitamente 7 o 8 per una farsa in musica): una colf stonata col carrello, turisti con abiti casual che si fanno fotografare coi cantanti, una coppia col bimbo in carrozzina, due gendarmi col cane, nonno e nipote in shorts, un’anziana con accompagnatrice, due giovani in effusioni amorose – anche troppe -, bambini urlanti seduti a terra per assistere alla performance di Gaudenzio e poi in giro tondo attorno a Bruschino padre indossando la maschera di Florville suo improvvisato figlio, gruppi di curiosi sul prato o sotto il loggiato, ispettori che ispezionano la platea. Regia dettagliatissima (troppi dettagli), basata sull’ironia, su azioni a sorpresa, su gags esilaranti come la scena dei due vecchi rivali sul divano gonfiabile o come quella della coppietta che amoreggia dietro il divano e poi (questa l’avrei evitata perché disturba l’ascolto) stesi a terra ai piedi di Gaudenzio che spiega a Sofia cos’è il matrimonio. Il tutto in un ambiente coloratissimo, anche se architettonicamente squadrato, dove non manca la nota romantica dei palloncini a cuore che dalle mani di Florville volano a quelle di Sofia affacciata al balcone.
C’era un po’ di confusione: attori che si cambiano a vista, si confondono ed interagiscono con la gente che diventa spettatrice delle loro esibizioni canore, cinque orchestrali arrivano in ritardo e anche il direttore d’orchestra arriva di corsa, ma è un caos voluto e sempre sotto controllo, che comunque un po’ distoglie dall’ascolto. Ma i curatori dell’allestimento sono giovani ed è bene che vedano l’aspetto giocoso della vita ed hanno potuto contare sulle ottime capacità attoriali di tutto il cast.
Le scene e i curatissimi costumi erano opera degli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Urbino, guidati da Francesco Calcagnini e l’adeguato progetto luci era di Roberto Cafaggini.
Sotto il profilo musicale l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, diretta dal giovane Daniele Rustioni (attento trait d’union tra buca e palcoscenico), mantiene il ritmo leggero e frizzante della partitura, strumenti singoli affiancano la loro voce a quella dei cantanti nelle arie solistiche o ne ricamano il sottofondo.
Vocalmente la farsetta si appoggiava su due consolidati artisti del genere buffo, Carlo Lepore e Roberto De Candia.
Lepore nel ruolo di Gaudenzio, vestito di verde smeraldo e con vistosa parrucca gialla, entra in scena su una specie di monopattino elettrico con ruote di gomma ed è costretto a cantare in equilibrio precario. Ma la voce c’è e che voce! Ampia, robusta, duttile, di bellissimo colore, poderosa nei gravi, agilissima nei sillabati, sonora nei recitativi, sostenuta nel suono, in piena linea con l’estetica rossiniana. Carlo Lepore è un basso portentoso con una mimica eccezionale.
De Candia, come Bruschino padre, con costume e parrucca rosso fuoco, uno stivale bianco e una scarpa, parla al cellulare e usa il Bancomat. Eccellente caratterista, ha voce baritonale di bel timbro, estesa e flessibile, in grado di aderire con naturalezza al ritmo rossiniano anche nelle pagine più serrate.
I loro duetti sono a dir poco esilaranti. Quando poi a loro si unisce Florville, vestito di bianco, si ricrea la bandiera italiana e la voce del tenore gareggia con le due voci scure. David Alegret nel ruolo di Florville ha evidenziato un mezzo vocale sonoro ma un po’ algido.
Maria Aleida è una Sofia sfiziosa e romantica, ha un fil di voce che in acuto è un fil di seta, ma nei centri è insicura e più che cantare accenna; acuti, sovracuti, agilità, trilli, sillabati in tessitura acuta sono scintillanti, ma è il peso che non c’è.
Il locandiere Filiberto ha la buona voce di basso Andrea Vincenzo Bonsignore.
Chiara Amarù presta a Marianna una voce piuttosto tremolante.
Francisco Brito nel duplice ruolo del Commissario e di Bruschino figlio è un bravo caratterista.
Lo spettacolo è risultato divertente e fresco.
Crediti fotografici: Amati-Bacciardi per Rossini Opera Festival di Pesaro