Musica di GIACOMO PUCCINI
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
(Nuova edizione riveduta sulle fonti originali a cura di Francesco Degrada;
Edizioni Universal Music Publishing Ricordi srl Milano)
Prima rappresentazione: Teatro Regio di Torino, 1 febbraio 1896
Prima rappresentazione al Teatro alla Scala: 15 marzo 1897
Allestimento del Teatro alla Scala (1963)
Direttore DANIELE RUSTIONI
Regia e scene FRANCO ZEFFIRELLI
Regia ripresa da MARCO GANDINI
Costumi PIERO TOSI
Ripresi da ALBERTO SPIAZZI
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO ALLA SCALA
CORO DI VOCI BIANCHE DELL’ACCADEMIA TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro BRUNO CASONI
Personaggi e interpreti principali
Rodolfo Piotr Beczala (26 sett.; 1, 10, 19, 22, 24, 26 ott.)
Vittorio Grigolo (28 sett.; 4, 8, 12 ott.)
Mimì Angela Gheorghiu (26 sett.; 1, 4, 8 ott.)
Anna Netrebko (19, 22 ott.)
Maria Agresta (28 sett.; 24, 26 ott.)
Anita Hartig (10, 12 ott.)
Musetta Ellie Dehn (26 sett.; 1, 4, 8, 19, 22 ott.)
Pretty Yende (28 sett.; 10, 12, 24, 26 ott.)
Marcello Fabio Capitanucci (26 sett.; 1, 4, 8, 19, 22 ott.)
Mario Cassi (28 sett.; 10, 12, 24, 26 ott.)
Colline Marco Spotti (26 sett.; 1, 4, 8, 19, 22 ott.)
Marco Vinco (28 sett.; 10, 12, 24, 26 ott.)
Schaunard Massimo Cavalletti
Benoît Domenico Colaianni
Alcindoro Matteo Peirone
Prezzi: da 187 a 12 euro
Per informazioni: tel. 02 72 00 37 44
L’OPERA IN BREVE
di Claudio Toscani
dal programma di sala del Teatro alla Scala
Sono trascorsi oltre centoquindici anni dalla sera in cui Arturo Toscanini, al Teatro Regio di Torino, diresse la prima rappresentazione della Bohème. Da quel 1° febbraio 1896, l’opera pucciniana continua ad attrarre il pubblico dei teatri di tutto il mondo. Non è solo il fascino indefinibile delle sue melodie ad assicurarne il persistente successo. Il tema portato sulle scene da Puccini è di quelli che sanno parlare alle epoche e alle generazioni più diverse: la storia dei bohémiens che affrontano fame e freddo con il sorriso sulle labbra è una rappresentazione metaforica della giovinezza, la cui allegria spensierata non è ancora stata spenta dalle asprezze della vita; lo scontro tra le illusioni, i sogni, le speranze di gioventù e la dura realtà dell’esistenza è un tema universale, nel quale chiunque può facilmente rispecchiarsi.
Puccini trasse la materia prima per l’opera dalle Scènes de la vie de bohème, il romanzo incentrato sulla vita di giovani artisti nella Parigi del 1840, che Henri Murger aveva pubblicato a puntate su Le Corsaire tra il 1845 e il 1848, ricavandone anche, con la collaborazione di Théodore Barrière, una pièce teatrale di grande successo. Puccini aveva incaricato Luigi Illica e Giuseppe Giacosa di realizzare, sotto la sua stretta sorveglianza, un libretto d’opera; ma non era stato il solo ad avere l’idea. Prima di lui ci aveva pensato Leoncavallo, che già s’era messo al lavoro per ricavare un’opera dallo stesso soggetto (tanto che a un certo punto divenne inevitabile la polemica tra i due compositori e tra le rispettive case editrici, Ricordi e Sonzogno). Fu comunque Puccini a terminare per primo il lavoro e a farlo rappresentare, condannando in breve tempo all’oblio la Bohème concorrente.
Dal piano originale, elaborato da Illica, Puccini eliminò la scena della festa nel cortile della casa di rue Labruyère, nella quale Musetta avrebbe dovuto avere ampio spazio (la scena che Leoncavallo, invece, aveva conservato: nella sua opera costituisce il secondo atto). Ciò gli permise di ottenere quella perfetta simmetria di proporzioni, quell’equilibrio che della Bohème sono la cifra distintiva. Per la drammaturgia dell’opera, infatti, è fondamentale la mescolanza tra le scene di vita spensierata e la tragedia; nel primo quadro, alla scena dell’allegra e precaria vita bohémienne succede il lirismo della scena amorosa, che si ribalta di nuovo nell’animata scena di folla del secondo quadro. E ancora più evidente è il contrasto nel quarto quadro, dove l’allegria simulata dei quattro amici si rovescia improvvisamente nel dramma all’apparire di Musetta e Mimì. La perfetta maestria di Puccini nell’alternare episodi leggeri e momenti tragici, del resto, è supportata da un libretto magistrale, nel quale lo stile aulico (quasi sempre impiegato con un distacco ironico) è mescolato a un lessico comune
e familiare, e la versificazione mostra estrema flessibilità e morbidezza. Ne risulta un’opera lontana sia dal grande dramma romantico sia dalla tradizionale opera comica; l’effusione sentimentale e l’elemento tragico sono bilanciati da episodi più leggeri, che tengono lontani sia il sentimentalismo sdolcinato sia il pathos estremo.
COMUNICATO STAMPA
La storia raccontata dalla Bohème non si sviluppa secondo un intrigo vero e proprio. Gli amori di Rodolfo e Mimì sono il tenue filo che lega i quattro quadri, un filo fragile come la felicità dei protagonisti, minata da miseria e malattia. Per il resto, non vi si trovano che eventi molto comuni: quattro giovani artisti che vivono alla giornata sognando la gloria e la fortuna, due coppie che si formano e si separano, una giovane che muore di tubercolosi (per effetto delle condizioni in cui vive la sua classe sociale, non in conseguenza della trama). Anche l’incontro tra Rodolfo e Mimì scaturisce dalla più comune delle situazioni – la vicina che chiede di riaccendere la candela spenta – e tutto procede tra piccoli eventi della vita quotidiana e piccoli oggetti, come la cuffietta di Mimì o la vecchia zimarra di Colline. La quotidianità, dunque, è posta al centro dell’opera: è in queste situazioni, in ciò che esse hanno di banale e di ordinario, che risiede la novità della drammaturgia della Bohème. L’amore di Rodolfo non è la grande passione eroica dei tenori romantici; nel suo lirismo vocale non si avvertono né la veemenza di Tosca né la solennità di Turandot, bensì una morbidezza e una semplicità da tono medio, un intimismo lontano dalle forzature del canto verista, accenti appassionati ma non enfatici. I personaggi della Bohème non muoiono da valorosi nell’impossibilità di realizzare un ideale assoluto: li avvertiamo vicini a noi perché la loro felicità è effimera, fragile com’è e legata alle piccole cose; da qui il senso profondo di nostalgia che si lega a un’opera nella quale vediamo sogni e speranze di gioventù infrangersi contro la vita e trasformarsi in rimpianto.
La quotidianità di personaggi e situazioni ha un corrispettivo nel linguaggio musicale impiegato da Puccini. La Bohème predilige gli slittamenti morbidi tra i piani armonici, rifugge le rotture violente, muove le melodie per gradi congiunti, è discreta negli interventi strumentali. Il canto è attento alle inflessioni del parlato – anche nei momenti in cui assume la periodicità e la quadratura melodica della tradizione melodrammatica italiana – tanto da farsi sovente una sorta di “prosa” musicale nella quale si mescolano, in una dose indefinibile, sentimentalismo, erotismo e malinconia. Altrettanto indeterminati sono i numerosi motivi ricorrenti, che creano o ricordano un’atmosfera più di quanto non definiscano un personaggio o una situazione. Questi motivi assicurano l’omogeneità dell’insieme, permettendo a Puccini di mantenere una sostanziale unità narrativa al di là dell’articolazione per blocchi; ma sono privi di un significato preciso, né vengono sviluppati o variati secondo la logica della costruzione sinfonica: il loro impiego, dunque, risponde più a ragioni coloristiche e impressionistiche che strutturali. Per la leggerezza di scrittura, poi, per il brio ritmico e per la vivacità dei dialoghi, la Bohème guarda all’opera comica e soprattutto alla grande lezione di Falstaff, del quale condivide lo sguardo ironico e disincantato per certi temi della drammaturgia romantica e dell’intera tradizione melodrammatica italiana.
DANIELE RUSTIONI
direttore d’orchestra
Compiuti gli studi musicali al Conservatorio “G. Verdi” di Milano (dove si è diplomato in organo, composizione organistica, pianoforte e direzione d’orchestra), si è perfezionato in direzione d’orchestra all’Accademia Superiore Musicale Pescarese, all’Accademia Musicale Chigiana di Siena (Diploma d’Onore) e alla Royal Academy of Music di Londra.
Ha inoltre partecipato a masterclasses con Colin Davis, Kurt Masur e Gianandrea Noseda che, dal 1997, è divenuto il suo principale mentore assieme ad Antonio Pappano; durante la stagione 2008-09 è stato assistente di quest’ultimo al Covent Garden di Londra nell’ambito del progetto “Jette Parker Young Artists Programme”.
Nel 2008, a soli 24 anni, ha diretto Cavalleriarusticana di Mascagni nello storico allestimento di Liliana Cavani al Teatro Michailovskij di San Pietroburgo. Per il grande successo ottenuto, è stato nominato Direttore Ospite Principale della seconda scena lirica pietroburghese.
Nella stagione 2009-10 ha diretto Norma di Bellini (stagione AsLiCo), Il barbiere di Siviglia di Rossini (Teatro La Fenice di Venezia), L’elisir d’amore di Donizetti (Teatro Comunale di Bologna) e l’Orchestra dell’Arena di Verona in un programma sinfonico. Nel maggio 2010 è tornato al Teatro Regio di Torino con La bohème di Puccini e successivamente ha debuttato con l’Orchestra Haydn, con cui ha collaborato anche nel dicembre 2011.
Nella stagione 2010-11 è tornato ai Pomeriggi Musicali con un progetto Bach-Hindemith, ha debuttato al Teatro dell’Opera Nazionale di Vilnius con Madama Butterfly di Puccini (allestimento di Antony Minghella) e con la Filarmonica di Helsinki nella Messa da Requiem di Verdi (dicembre 2011). Dopo il debutto al Covent Garden in Aida di Verdi (marzo 2011) e con l’Orchestra della Svizzera Italiana nell’aprile 2011 ha debuttato alla Welsh National Opera con una nuova produzione di Così fan tutte di Mozart.
Nell’estate 2011 ha debuttato negli Stati Uniti, al Glimmerglass Festival, con una nuova produzione di Medea di Cherubini. Nell’autunno due importanti debutti sinfonici con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia oltre al Falstaff di Verdi, produzione inaugurale della stagione del Teatro Filarmonico di Verona.
Rustioni ha debuttato al Teatro alla Scala nel settembre 2010 con L’occasione fa il ladro di Rossini nella storica produzione di Jean-Pierre Ponnelle.