musiche dal vivo di Michele Di Lallo maestro di fagotto
spazio scenico e luci Vincent Longuemare
regia Teresa Ludovico
produzione Teatro Kismet OperA
Autore di appassionanti gialli, narratore di successo, magistrato, Gianrico Carofiglio per una sera sarà anche attore. In costante dialogo con la versatilità espressiva del fagotto di Michele Di Lallo, intreccerà un’indagine letteraria, politica e giudiziaria a partire da alcune citazioni di personaggi diversissimi tra loro, da Aristotele a Cicerone, da Dante a Primo Levi, da Calvino a Nadine Gordimer, da Obama a Bob Dylan.
La manomissione delle parole è una riflessione sull’uso dei termini, sulla loro funzione, sul valore che essi hanno nella costruzione delle storie di ciascuno di noi, tanto da essere pilastri della nostra vita etica e civile. Fondamenta che sempre più spesso vengono logorate dall’abuso e dalla manipolazione dei significati. Come si fa a ridar loro la dignità che meritano? Per Carofiglio l’unico metodo è manometterli, cioè smontarli e rimontarli nel loro verso originario.
Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole, le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Nei nostri seminari chiamiamo “manomissione” questa operazione di rottura e ricostruzione. La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi. Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato), essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione. La manomissione delle parole include entrambi questi significati. Noi facciamo a pezzi le parole (le manomettiamo, nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non significati). Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie.
Gianrico Carofiglio – Ragionevoli Dubbi
LA PAROLA A GIANRICO CAROFIGLIO
Perché un libro immaginario, citato in un suo romanzo, ha destato interesse tra i suoi lettori tanto da spingerla a scriverlo?
I lettori mi chiedevano come fosse possibile trovarlo visto che in libreria non c’era e neppure su internet. A un certo punto mi è parso naturale farlo diventare realtà. Credo che l’argomento, l’igiene del linguaggio e la corretta scelta delle parole, sia sentito da molti. Probabilmente era questa la ragione per cui molti volevano leggerlo e credo che sia la ragione per cui l’ho scritto.
In principio era il verbo, recita il Vangelo. Oggi che cos’è la parola?
Quello che abbiamo dentro e quello che ci circonda non esiste se non abbiamo le parole per nominarlo. In questo senso la capacità di dare nomi alle emozioni e di raccontare in storie articolate la nostra esperienza è proprio una funzione creatrice del mondo. E penso sia anche il senso profondo di quella frase quanto mai attuale.
Lei scrive: “È necessario un lavoro di artigiano per restituire verginità, senso, dignità e vita alle parole”, in che senso?
Artigiano è una metafora in questo caso particolarmente utile perché il riferimento alla materialità del lavoro consente di riflettere sulla necessità che le parole, come entità immateriali, siano trattate, sottoposte a manutenzione, se ne verifichi il funzionamento e se ne correggano eventuali difetti come degli oggetti materiali.
Lei è un artigiano?
Non c’è un algoritmo della scrittura, un modo di procedere valido per tutte le occasioni o che garantisca il successo. Esistono alcuni meccanismi che si ripetono, ed esiste anche la consapevolezza che ogni singolo oggetto che si produce è autonomo, appunto di tipo artigianale. Questo è quello che mi piace di più del lavoro dello scrittore.
Combattere l’impoverimento e la sciatteria del linguaggio può essere un antidoto alla violenza?
Credo proprio di sì. Nel libro si racconta di risultati di ricerche sociologiche e criminologiche dalle quali viene fuori che spesso i comportamenti violenti sono conseguenza dell’incapacità di elaborare la sofferenza interiore per mancanza di parole che nominino quel dolore. Giovani devianti, in situazioni di grave sottosviluppo, non hanno i mezzi linguistici per esprimere il loro disagio e lo trasformano in violenza.
Questo basterebbe per dire che la capacità di usare molte parole, la disponibilità di un ampio vocabolario è un primo rimedio all’alterazione della sofferenza in aggressività. In generale le parole sono uno strumento che ci permette di entrare in relazione pacifica con gli altri e di risolvere le controversie sul piano della dialettica. A patto che non vengano usate per offendere.
Una delle parole più semplici, corte e potenti del nostro vocabolario è No. Tanto significativa che in essa lei ci vede non negazione ma positività. Perché?
Nella mia interpretazione questa parola non serve a negare qualcosa senza alternativa. Dietro di essa c’è sempre una proposta, c’è un mondo diverso da quello che qualcuno vorrebbe imporre. In tanti casi dobbiamo rifiutare per rivendicare la nostra dignità umana.
La manomissione delle parole non è solo un saggio, è una considerazione sul valore del linguaggio e un esperimento di manomissione di alcune di parole. Lei come lo definirebbe?
È una conversazione tra me e i lettori. Qualcuno mi ha detto che lo ha letto tutto d’un fiato come se fosse un romanzo, e poi l’ha riletto per capire bene cosa c’era dentro. Lo considero il più bel complimento.
Tieffe Teatro Menotti
Via Ciro Menotti, 11 – Milano
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