Al Teatro Vittoria di Roma si respira l’atmosfera della Sicilia d’altri tempi con Barberìa – Barba, capiddi e mandulinu, il nuovo intenso spettacolo diretto e interpretato da Massimo Venturiello scritto da Gianni Clementi. Sul palco, grandi specchi posizionati in alto, da un lato gli attrezzi del mestiere riposti con cura, in una ricostruzione attenta e retrò con tanto di insegna luccicante un po’ in stile Broadway che s’accende all’improvviso: Barberìa è un testo analitico, quasi un flusso di coscienza del barbiere, “ù varvèri”, Salvo interpretato da un camaleontico e sanguigno Massimo Venturiello con tanto di inconfondibile accento siciliano. Barberìa è un’analisi quasi sociologica del barbiere e della Sicilia in un testo appassionato e nostalgico che Venturiello amalgama con una gamma misurata di espressioni e naturalezza, fra istrionismo e semplicità, nostalgia e ricordi nel restituire uno spaccato realistico e della Sicilia d’altri tempi forse scomparsa, ma indelebilmente impressa nelle memoria collettiva grazie alla letteratura, al cinema (pensiamo solo al Padrino di Coppola, ma anche agli straordinari film di Pietro Germi) e alla musica. Lo spettacolo, molto piacevole e coinvolgente quasi come un racconto confidenziale, ma plateale, ci riporta indietro nel tempo, quando la barberìa era davvero un piccolo microcosmo in cui si affacciava la più svariata umanità del paese, e diventa una sorta di inedito mix tra le atmosfere di Andrea Camilleri e di Buona Vista Social Club con la musica sempre trascinante dell’orchestra da barba siciliana della Compagnia Popolare Favarese che fra fisarmonica e mandolino interagisce con il protagonista in un monologo spesso a tempo di musica (citando un po’ il Chaplin del Grande dittatore che faceva la barba al cliente sulle note di Brahms). Fulcro centrale e regista di tutto resta Salvo “ù varvèri”, il barbiere, il confidente di quel mondo ormai scomparso che racconta della fuga rocambolesca di New York per tornare nella natìa Sicilia, della miseria, dei genitori e della speranza di un mondo migliore negli occhi degli emigranti. È un mondo che pian piano ci concretizza e si anima in un racconto appassionante e coinvolgente in cui si affastellano il ricordo del primo amore, la famiglia, gli affetti, la Sicilia e la scoperta finalmente consapevole di una terra.
Venturiello riempie sapientemente la scena, ora declama, ora racconta, ora ricorda o canta e padroneggia con scioltezza tutti gli strumenti del mestiere (letteralmente facendo la barba a tutti i musicisti con gesti attenti e misurati), facendo scorrere davanti agli occhi della platea la fotografia di un’Italia ingenua e generosa prima del boom economico con tutti gli odori, i colori e i sapori della Sicilia. Fino alla consapevolezza e all’accettazione un po’ nostalgica e malinconica della fine di quel mondo e di certe inconfondibili tradizioni. Dopo il debutto lo spettacolo resta in scena fino al 18 novembre al Teatro Vittoria, e dal 20 al 26 novembre sarà in tournée presso il Teatro Menotti di Milano.