ballata in ariosteche rime per un cavalier narrante
adattamento teatrale di Marco Baliani
tratto da Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
regia Marco Baliani
scene Bruno Buonincontri
costumi Alessandro Lai
luci Luca Barbati
produzione Nuovo Teatro Stabile dell’Umbria
con Stefano Accorsi, Nina Savary
ORLANDO NELLA PIANURA DI ILIO
Che il più erratico, policromo e combinatorio poema italiano sia costretto entro pannelli verticali i cui pezzi, cuciti insieme, sembrano fatti di tela grezza dai colori lignei (dal mais al nocciola al marrone scuro, con qualche divagazione verdognola), e suggeriscono più un’antichità contigua alla guerra di Ilio e alle successive disavventure di reduci e prigionieri che il gioco ariostesco, fastoso e avvincente, del movimento ininterrotto, del continuo intrecciarsi e divergere – fra Europa e Africa, più un’incursione nel paesaggio lunare – dei sentieri tracciati da Orlando e Angelica, da Bradamante e Ruggiero, da mostri e destrieri alati (“volando, talor s’alza ne le stelle,/e poi quasi talor la terra rade”), è già una scelta capace di suscitare qualche timida perplessità. Che poi dell’”Orlando furioso” venga presentato, da un disinvolto narratore accompagnato da una musicista/cantante/rumorista/suggeritrice in graziosa veste rinascimentale (che incarna anche un inessenziale punto di vista femminile) il sunto inadeguato, didascalico, opaco, continuamente spezzato da premeditate digressioni in territori danteschi e shakespeariani, stringe il cuore, facendo rimpiangere (e molto) la lontana, visionaria lettura di Luca Ronconi.
Solo qua e là i versi di Ariosto, lasciati liberi per qualche istante di dispiegare tutto il loro incanto, ci trasportano nella luce e nell’aria fittizie dei sortilegi e degli amori reali o immaginati; nate – quella luce e quell’aria – dall’humus, dalle molecole organiche, della corte estense. In quegli interni (“di vari marmi con suttil lavoro/edificato era il palazzo altiero”) si aggirano in realtà dame e cavalieri, maghe e negromanti (“tutti cercando il van, tutti gli danno/colpa di furto alcun che lor fatt’abbia:/del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;/ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia;/altri d’altro l’accusa: e così stanno,/che non si sa partir di quella gabbia;/e vi son molti, a questo inganno presi,/stati le settimane intiere e i mesi.”). Là dove le decorazioni ad affresco elaborate con stucchi e dorature convivono con soffitti dipinti a grottesche, e lo scalco, cerimoniere e maestro di casa Cristoforo da Messisbugo concepiva ogni banchetto come “una festa magnifica, tutta ombra, sogno, chimera, finzione, metafora e allegoria”. Dove Isabella d’Este trasformava lo studiolo del duca (camerino dei baccanali) in wunderkammer.
In fondo, l’”Orlando furioso” svela quasi in ogni canto la sua natura di wunderkammer letteraria e itinerante. Le camere delle meraviglie europee, le collezioni di Rodolfo II d’Asburgo, di Federico Augusto il Forte e di Ferdinando II d’Asburgo, con la loro congerie di reperti mirabolanti – naturalia e artificialia – spesso provenienti da paesi lontani (oggetti preziosi unici, opere d’arte bizzarre, animali con due teste, zanne di elefante, perle deformi, rami di corallo, grandi conchiglie, coccodrilli essiccati, libri e stampe rare, foglie, cammei, filigrane, collane, monete antiche, papiri), traevano nutrimento dalla stessa ossessione che ha permesso ad Ariosto di immaginare il magazzino lunare delle cose perdute: “le lacrime e i sospiri degli amanti,/l’inutil tempo che si perde a giuoco,/e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,/vani disegni che non han mai loco:/ciò che in somma qua giù perdesti mai,/là su salendo ritrovar potrai”.
Malauguratamente questa vertigine pre-barocca si avverte appena nell’allestimento di Baliani. Di semplificazione in “caduta”, trascorrendo dalla citazione di altri autori all’adozione di modalità espressive folkloristiche (opera dei pupi compresa), lo spettacolo ci conduce in zone distanti dalla poetica di Ariosto. Ben più distanti di quanto facesse l’antico, delizioso albo Disney “Paperin Furioso”.