Produzione del Teatro Stabile dell’Umbria
La grande magia ha avuto un inizio travagliato, Eduardo è stato accusato di Pirandellismo in senso dispregiativo quando invece l’evidente tematica della finzione ha trovato ne “La grande magia” uno sviluppo drammaturgico e poetico di notevole caratura.
L’edizione del 1985, sotto la straordinaria regia di Giorgio Strehler, a pochi giorni dalla morte dell’autore, ebbe un successo che anche in questi giorni si ricorda.
Ora Il figlio Luca continua l’approfondimento della drammaturgia edoardiana proponendosi come regista e attore ne “La grande magia”, una commedia in tre atti di cui il primo scopertamente farsesco con gag recuperate dal repertorio classico dell’avanspettacolo. E’ una storia buffa, è la rappresentazione della miseria, dello squallore e dell’innocenza. La storia di un guitto illusionista, il mago professore Marvuglia, che si esibisce nel giardino di un hotel di vacanza dove, con l’aiuto di compari finti clienti compie il grande gioco di prestigio facendo scomparire la giovane infedele moglie di Calogero Di Spelta che, invece di uscire dal sarcofago in cui era stata rinchiusa dopo il quarto d’ora previsto, approfitta della situazione creata ad hoc per fuggire con il suo amante per quattro anni. Quello che doveva essere un gioco, quindi un’illusione, si trasforma per il marito in una reale tragedia. Al povero Di Spelta il mago consegna una scatola dove, a causa della sua gelosia, sarebbe rinchiusa la moglie e gli fa credere che potrà aprirla solo se profondamente sostenuto dalla fede nell’onestà della moglie, altrimenti la perderà per sempre. Dunque il tema vero della commedia, che si svilupperà nel secondo e terzo atto, è quello del consolidarsi dell’illusione se viene alimentata dalla fede. E qui Eduardo fa interpretare dal mago la parte del raisonneur pirandelliano per il quale la vita è un gioco di specchi dal quale si ha solo l’illusione di poterne uscire. Così Calogero porta la scatola sempre stretta sotto il braccio e non la apre per paura di trovarsi solo. Intanto gli anni passano ma la sua fede è talmente ferma che il ritorno della moglie pentita non sarà sufficiente a fargli accettare la realtà e preferirà vivere nel suo mondo solipsistico, nel gioco della finzione e dell’illusione che diventa per lui tanto inconsapevole da sostituirsi alla realtà (mentre l’illusione è sempre stata consapevole nel mago). Nel secondo e terzo atto, prima nello squallido tugurio dove vive il mago poi nella lussuosa abitazione del benestante Calogero, il plot point della vita come gioco di prestigio e dell’illusione, viene “sdrammatizzato” da divertenti e farseschi, anche se amari, siparietti (la scena del brigadiere che interroga il mago e quella stupenda dei parenti postulanti di nero vestiti come corvi). L’intero impianto scenico è volutamente fittizio dal fondale, alle palme, alla figura del custode. E’ il gioco del teatro nel teatro al quale il regista ricorre per dire che, siccome il teatro è finzione, la finzione della finzione fa emergere la verità. Luca De Filippo nella duplice veste di attore e regista offre una prova convincente. Nella parte del sedicente professor Marvuglia mago imbroglione, Luca con un’interpretazione autoironica perfetta negli accenti, nelle sapienti pause, nella gestualità merita il massimo dei voti. Bravissimo Massimo De Matteo che passa dalle vesti dimesse di un marito geloso alla difficile parte del folle che si rifiuta di vedere e di accettare la realtà. Un plauso convinto a tutti i comprimari, da Carolina Rosi, Nicola Di Pinto che lo vede impegnato in una duplice parte così come Giovanni Allocca e Gianni Cannavacciuolo. Le scene e i costumi belli e funzionali sono di Raimonda Gaetani e il servizio luci di Stefano Stacchini.