Che cos’è il Potere, anzi Lo Potere? Ce lo spiega questa bella piéce teatrale, ben scritta da Daniele Prato e Francesca Staach e diretta da Riccardo Scarafoni. Lo Potere è non provare pena, ma disprezzo verso i deboli, è il silenzio che irretisce, è non dire grazie e non scusarsi mai, è l’immobilismo, è dire promesse che non si possono mantenere. Nel lontano 1500 questo dice la Regina Germana Brunilde del Sacro Regno Marrone (Fabrizio Scarafoni) a sua figlia, Malvolia Riccarda (Veruska Rossi), erede al trono. Con un linguaggio pseudo-rinascimentale, filologicamente improbabile ma assolutamente divertente, la lectio quotidiae de lo potere è un martellante indottrinamento delle tecniche più crudeli per mantenere il popolo succube e obbediente; ma la figlia, ingenua e leziosa, è lontana anni luce dalla perfidia materna: il suo principe azzurro è un aitante stalliere e il suo credo è l’amore e non l’opportunismo e la cieca brama di potere. Contemporaneamente va in scena la storia di un ricco e annoiato Signore (Riccardo Scarafoni) e del suo fido Maggiordomo (Francesco Venditti), un’altra storia politicamente scorretta ma ambientata ai giorni nostri, in cui la sete di potere sembra non prosciugarsi mai. Da ristoratore di successo, dall’oggi al domani il Signore decide di diventare cantante. Nasce, così, il Musicante Omodoro, il cui talento passa in secondo piano; ciò che lo spinge è la ricerca di un sempre più ampio consenso. Nulla sembra poterlo fermare. Con una trovata scenografica le due fiabe, di ieri e di oggi, si sviluppano parallelamente, alternandosi in brevissimi atti. Battute e aforismi si susseguono con un ritmo incalzante. Le auliche (e spassose) trovate linguistiche della magnetica Regina fanno da contrappeso alla volgarità di Omodoro, che pur di piacere a più fan possibili sceglie un improbabile stile vestiario, camaleontico. Entrambi per arrivare all’apice del loro potere sono disposti a tutto: a ricattare, a corrompere, anche a tradire la fiducia di chi li ama. Lo Potere mette in scena l’eterno braccio di ferro tra bontà e malvagità che non sempre è a lieto fine.