Tutto esaurito per l’apertura di stagione del Teatro Argentina di Roma con Servo di scena di Ronald Harwood, primo grande successo del futuro sceneggiatore anche dell’omonimo film diretto da Peter Yates con Albert Finney, nonché premio Oscar per Il pianista di Polanski. Servo di scena è qui ripreso, diretto e interpretato da un attore di razza come Franco Branciaroli (di recente nominato consulente artistico dello Stabile di Brescia) che plasma davanti a un pubblico incantato un atto d’amore assoluto nei confronti del teatro che guarda allo specchio sé stesso in tutte le sue sfumature e non senza la giusta dose d’ironia, in un ritratto nostalgico e convincente. Il titolo originale The dresser (che indica il factotum, il maggiordomo del primo attore) diventa Servo di scena in italiano e la traduzione di Masolino D’Amico indica immediatamente il cuore del testo facendo luce sull’intenso, morboso e servile rapporto di amore e odio fra il grande attore shakesperiano Sir e Norman, il suo servo di scena. Sir Ronald (titolo di cui si fregia, ma di cui tutti sanno non essere stato insignito) è dittatoriale, dispotico, egocentrico, ormai sul viale del tramonto e il suo servo di scena, il giovane Norman, puntiglioso, sottomesso e votato all’assoluta dedizione. Sir è appena uscito dall’ospedale dopo un malore, confonde Lear con Otello, non ricorda più le battute, è debole, eppure Norman lo incita fino a costringerlo a tornare in scena perché lo spettacolo non può e non deve saltare. Norman vive nell’ombra di Sir che nel suo egoismo a volte lo disprezza, ma gli è indispensabile, gli filtra la realtà, il contatto con gli altri. Il bel testo metateatrale, ancora molto attuale, offre una grande prova dei due attori. Un magnifico Franco Branciaroli è Sir, egocentrico e autoritario, spossato, quasi adagiato su sé stesso che fa il verso al consumato attore dalla dizione e dall’aria magniloquente, ma logorato dalla vita quando non riesce nemmeno più a discernere la scena dalla realtà. Gli contende egregiamente la scena Tommaso Cardarelli nel ruolo del servo di scena Norman, giovane alcolizzato (unico modo per sopportare le continue umiliazioni cui la sua dedizione lo costringe?) millimetrico nella gestualità, che vive di vita riflessa e che vizia Sir costringendolo alla sua ultima recita. Ad arricchire la sfaccettata e scalcinata compagnia teatrale sottola Londraassediata dai bombardamenti negli Anni Quaranta, Melania Giglio (assistente di scena Madge, da sempre innamorata di Sir), Lisa Galantini (la moglie Milady), Giorgio Lanza (il disamorato Mr.Oxenby, pronto a contestare tutto e tutti), Daniele Griggio (il Fool che venera Sir), Valentina Violo (la giovane ninfetta arrivista). Sempre accurata la regia di Franco Branciaroli perfetta in ogni minimo particolare e nel calibrare ogni minimo gesto o movimento e che riesce a far rivivere la magia della creazione della messinscena teatrale e della trasformazione dell’attore in personaggio con naturalezza e semplicità. Molto accurati i costumi di Margherita Palli così come anche la magnifica e minuziosa scena stratificata (illuminata da Gigi Saccomandi) che apre uno squarcio (e letteralmente) andando a riprodurre un fatiscente camerino sotterraneo e le quinte del palcoscenico al piano superiore (con tanto di sipario stracciato che ha conosciuto tempi migliori) e con i muri quasi distrutti dai bombardamenti che lasciano intravedere gli altri camerini. Un ritratto amaro e lucido, appassionato e ricco di humour inglese sul logorante mestiere dell’attore e soprattutto sul teatro, in un inno continuo alla sua (r)esistenza. In scena fino al 2 dicembre.