regia Stefano Messina
scene Alessandro Chiti
costumi Isabella Rizza
luci Emiliano Baldini
musiche Pino Cangialosi
produzione Compagnia Attori e Tecnici
con Annalisa Di Nola, Stefano Messina, Carlo Lizzani, Paolo Zuccari, Roberto Della Casa, Claudia Crisafio, Elisa Di Eusanio, Andrea Lolli
I SENTIERI IMPERVI DI MRS CHRISTIE
Cade una moltitudine di piccoli cristalli di ghiaccio, dalla struttura simmetrica, aperta, soffice. Precipitano frusciando sulla terra, sugli alberi neri, fino a coprire di un candore gelido, abbacinante, l’intera campagna, fino a isolare la grande casa dei coniugi Ralston, dalle pareti rivestite di pannelli di quercia e dall’inutile camino, appena trasformata in locanda e in attesa dei primi ospiti.
Arriva il tramonto, mentre il vento gonfia i vecchi, pesanti tendaggi, trascinando nelle stanze mulinelli di neve. Niente è pronto a causa della tormenta inaspettata; il gelo e le ombre si impossessano di ogni angolo, l’unica vivanda disponibile è rappresentata dal manzo in scatola. La radio trasmette la notizia dell’assassinio di un’anziana signora, nel borgo londinese di Paddington.
Una dopo l’altra, cinque persone imbacuccate, con gli occhi socchiusi per il freddo, raggiungono faticosamente la casa circondata da due metri di neve. I sentieri di impronte si incrociano scricchiolando.
Per estrarre dalle geometrie frattali di Agatha Christie, dalla geniale serialità delle situazioni e dei caratteri inventati dalla scrittrice inglese, la vivida insidia e le alluse ambiguità che scorrono appena sotto la superficie dei testi, sarebbe necessario giocare con leggerezza crudele con i colori e l’assurdità del mondo. Mutare la messinscena cronometrica (e spesso ironica) del dolore, della follia, della vendetta, non in opaca rappresentazione di schemi e figure sommariamente schizzate (tanto per accontentare lo spettatore in cerca di rassicurazione, o troppo giovane), né in goffo melodramma sempre in agguato, bensì in proteiforme organismo capace di (ri)vivere grazie a citazioni, ibridazioni, connessioni spericolate. Ossia accostarsi all’esempio di Ozon, che nel travolgente “8 femmes” mostra come in una struttura “alla Christie” possano agitarsi i bagliori grotteschi, surreali, inquietanti, sottilmente perversi, supremamente ellittici e simbolici nella loro evidenza cromatica, di Bunuel e Hitchcock, di Carroll e du Maurier, di Freud e Douglas Sirk, di Jonesco e della Great White Way newyorkese, di Genet e della canzone d’autore francese.
Purtroppo la compagnia “Attori e Tecnici”, nonostante l’impegno profuso, appare, un po’ per scelta un po’ per insufficienza di mezzi, inadeguata a seguire la traccia del maestro francese (e di altri). Tocca quindi assistere a una lettura del testo circoscritta a meccanismi e fatti, che risulta da subito polverosa e inutile. Il gioco sublime della Christie, ridotto a un confluire di personaggi che inclinano pericolosamente all’effetto prodotto da tratti caratteriali a una dimensione (nonché all’enunciazione di eventi privati di ogni risonanza; nella fattispecie, una storiaccia di privazioni e maltrattamenti subiti da innocenti piccini), ricade pesantemente su se stesso, inducendo alla fine un avvilimento psicologico di rara intensità.