(lunedì 3 dicembre 2012)
Sono rare le sue presenze nei teatri italiani, è difficilissimo trovare posti per i suoi concerti, ma stavolta ce l’ho fatta. Nonostante i pareri discordi sulle sue qualità (vocali o artistiche?), Cecilia Bartoli è un personaggio che tutti conoscono e che tutti vorrebbero ascoltare almeno una volta nella vita. La sua voce, si sa, non ha un gran volume, ma l’arte di usarla è magistrale. Inoltre l’intelligenza nella scelta del repertorio dimostra la consapevolezza delle sue possibilità, ottimizzate da uno studio costante e preciso, che l’ha portata ad essere un’icona del barocco e del canto di coloratura.
Il concerto ci ha dato quello che tutti sapevamo: un’orchestra preparata, un maestro talentuoso, una cantante simbolo. Pertanto inopportune e fastidiose sono state sia le sovrabbondanti ovazioni sia le stupide contestazioni. Sentire voci di bambini gridare “Brava” ripetutamente sapeva tanto di manovrato, sentir dire “Vai a casa” a un’artista, che ha studiato con diligenza e con intelligenza per raggiungere certi traguardi, solo perché non ha una valanga di voce, sapeva di faziosità e tendenziosità e nell’opinione dei presenti la contestazione ha avuto l’effetto boomerang.
Cecilia Bartoli, da gran signora, non ha perso lo smalto del suo sorriso, ha bissato il Rondò di Angiolina volgendo ogni tanto il viso al palchetto dei contestatori e tirando fuori più voce, almeno così mi è sembrato visto che dal quarto ordine di palchi ero scesa in platea al bis proprio per verificare.
Superficialità da parte delle cronaca, che ha ampliato una notizia marginale glissando sui meriti individuali, ma è cronaca e non critica musicale ed è la cronaca che fa vendere i giornali.
Cecilia Bartoli è un’artista nota in tutto il mondo per l’aderenza stilistica alla prassi esecutiva barocca e al vorticoso canto di coloratura, c’è chi l’adora, c’è chi la contesta, ma tutti vogliono vederla e ascoltarla almeno una volta dal vivo.
Io l’ho trovata più bella, più giovane e più virtuosa di quando l’ascoltai dal vivo la prima volta a Vienna ne Il trionfo del tempo e del disinganno diretta da Harnoncourt. Certo un pelino di voce in più mi avrebbe mandato in delirio.
Analizziamo dunque il concerto.
La serata si apre con una composizione giovanile di Wolfgang Amadeus Mozart, la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore K 319, per due oboi, due fagotti, due corni e archi, nella versione viennese, cioè con l’aggiunta del minuetto. L’atmosfera è solare, leggiadra e frizzante: dalla morbidezza e compattezza orchestrale emerge la sincronia degli archi, che nel secondo movimento (Andante moderato) esprimono il clima di serenità con un fraseggio largo e dilatato, i tempi mossi del minuetto sono staccati dalla voce calda dei corni e la vivacità del Finale (Allegro assai) è realizzata dalle volatine e dalle fitte arcate dei violini e dagli interventi dei fiati.
Accolta in palcoscenico da scroscianti applausi, Cecilia Bartoli, solare e comunicativa, fasciata da un sontuoso abito da sirena, verde smeraldo, decolleté e con strascico, purtroppo drappeggiato orizzontalmente, offre come biglietto di presentazione un saggio di belcantismo eccezionalmente virtuoso.
Nel recitativo e aria di furore di Agilea “Ah, che sol per Teseo…M’adora l’idol mio“, da “Teseo“ di Georg Friedrich Händel, per soprano, un oboe e una piccola tromba, cembalo e archi, esibisce una voce di soprano leggero di coloratura di grande agilità, con fiati lunghissimi, morbidezza nel porgere, dimestichezza col canto sbalzatissimo anche in gara acrobatica con l’oboe obbligato, suonato da Fabien Thouand, che ha molti interventi solistici.
Poi la Bartoli esegue con vocalità più pastosa, gravi morbidi, suoni rotondi anche nella mezza voce l’aria di Piacere “Lascia la spina, cogli la rosa“, per soprano, due oboi, cembalo, archi, da “Il Trionfo del Tempo e del Disinganno“, che ha la melodia indimenticabile di “Lascia ch’io pianga” da Rinaldo; cantata e suonata quasi completamente a mezza voce l’aria incanta e rapisce.
Di seguito la Bartoli si cimenta nel recitativo e aria di Melissa “Mi deride… Resterò dall’empia Dite“, da “Amadigi“ di Händel, per soprano, un oboe, una tromba, cembalo, archi, applicando la sua abilità assoluta nel canto di sbalzo, con maggior grinta e un modo di porgere più intenso, certo un maggiore spessore vocale e una maggiore pienezza del suono avrebbero sprigionato tutto il vigore e la potenza di quest’aria di scongiuro, abbellita da uno scintillante dialogo tra oboe e tromba suonata da Francesco Tamiati.
Fa da intermezzo strumentale la Sinfonia prima dell’Atto III dell’Oratorio HWV 67 “Solomon” di Händel, intitolata ‘The Arrival of the Queen of Sheba‘, un unico Allegro per due oboi, cembalo, archi. La musica è gradevolissima, fa divertire il cembalista e ballare il direttore, bravissimi i due oboisti Fabien Thouand e Augusto Mianiti.
Ritorna Cecilia Bartoli con un look diverso: un costume maschile da Cherubino (redingote invelluto nero, camicia bianca con jabot e polsini con svolazzi, stivali alti e capelli raccolti a coda di cavallo), forse in omaggio a Mozart, di cui canta il Mottetto K 165 ”Exsultate, Jubilate”, per soprano, due flauti, due oboi, due corni, organo, archi, esibendo un corpo vocale denso ma piccolo nell’ Allegro, usando il fil di voce e i filatini in acuto per la soavità dell’Andante, esaltando le sue virtù vocali nell’acrobazia vigorosa e virtuosistica dell’Alleluia.
Breve pausa, poi ancora in scena per Rossini come mezzosoprano, con lo stesso abito verde e i capelli legati, deludendo le nostre aspettative, l’avremmo preferita coi bellissimi capelli lunghi fluenti sulle spalle e un morbido abito bianco lungo per impersonar Desdemona e Cenerentola divenuta principessa.
Da “Otello” di Gioachino Rossini esegue col fil di voce e coi filati il recitativo di Desdemona “O tu del mio dolore“, sostenuta da un’orchestra delicata, introdotta e sostenuta dagli arpeggi melodiosi dell’arpa di Olga Mazzia canta molto bene la canzone del Salice “Assisa a’ pié d’un salice”, i suoni sono pulitissimi, il fiato sostenuto, i gravi rotondi, fa anche degli abbellimenti (I ruscelletti limpidi) e qualche suono più corposo è un po’ tremolante.
Poi da “La Cenerentola” Recitativo e Aria con Rondò di Angiolina “Nacqui all’affanno… Non più mesta” con roulades, variazioni pirotecniche, trilli eseguiti in modo funambolico, a parte qualche frase rallentata e con sillabe staccate per assecondare i tempi lentissimi staccati dal maestro Barenboim.
Per concludere la notissima Sinfonia n. 40 in sol minore K 550 di Mozart, che Barenboim ha diretto in modo estatico, completamente immerso nel caleidoscopio delle articolazioni armoniche e melodiche, che la brava Orchestra Filarmonica del Teatro alla Scala materializza in sonorità dense e corpose per i momenti più grevi e in suoni aerei e leggeri per la solarità del Minuetto e dell’Allegro assai del Finale.