Libretto di Arrigo Boito
Musica di GIUSEPPE VERDI
(Revisione sull’autografo della partitura di A. Zedda con la collaborazione di F. Broussard; Edizioni Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano)
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 9 febbraio 1893
Nuova produzione Teatro alla Scala
In coproduzione con Royal Opera House, Covent Garden, Londra; Canadian Opera Company, Toronto
Direttore DANIEL HARDING
Regia ROBERT CARSEN
Scene PAUL STEINBERG
Costumi BRIGITTE REIFFENSTUEL
Luci ROBERT CARSEN e PETER VAN PRAET
Personaggi e interpreti
Sir John Falstaff Ambrogio Maestri / Bryn Terfel
Ford Fabio Capitanucci / Massimo Cavalletti
Fenton Francesco Demuro / Antonio Poli
Dr. Cajus Carlo Bosi
Bardolfo Riccardo Botta
Pistola Alessandro Guerzoni
Mrs. Alice Ford Barbara Frittoli / Carmen Giannattasio
Nannetta Irina Lungu / Ekaterina Sadovnikova
Mrs. Meg Laura Polverelli / Manuela Custer
Mrs. Quickly Daniela Barcellona / Marie-Nicole Lemieux
Date:
martedì 15 gennaio ore 20 ~ prima rappresentazione
domenica 20 gennaio ore 20 ~ turno B
mercoledì 23 gennaio ore 20 ~ turno E
sabato 26 gennaio ore 20 ~ turno A
martedì 29 gennaio ore 20 ~ turno D
giovedì 31 gennaio ore 20 ~ turno C
sabato 2 febbraio ore 20 ~ fuori abbonamento
mercoledì 6 febbraio ore 20 ~ fuori abbonamento
venerdì 8 febbraio ore 20 ~ turno N
martedì 12 febbraio ore 20 ~ turno G La Scala UNDER30
Prezzi: da 210 a 13 euro
Infotel 02 72 00 37 44
Martedì 15 gennaio l’opera sarà trasmessa in diretta stereofonica da RAI RADIO TRE
Ufficio Stampa Teatro alla Scala
Via Filodrammatici 2 – 20121 Milano
Tel. 02 88 792 412 – Fax 02 88 792 331
L’opera in breve – Emilio Sala
Che Verdi abbia composto il Falstaff per
“vendicarsi” (cinquant’anni dopo) del fiasco
di Un giorno di regno sarà anche
plausibile in termini psicologici, ma di
certo risulta un luogo comune assai riduttivo
per chi voglia indagare il significato
dell’ultima opera verdiana dal punto di
vista critico-estetico. Benché la tradizione
dell’opera buffa (specialmente di Rossini)
sia presente tra le righe del Falstaff: la
partitura verdiana, che Casella considerava
come il punto di partenza di tutta la
musica moderna italiana, si colloca oltre
la tradizione melodrammatica. Quest’ultima
compare nel Falstaff soltanto sotto
forma di parodia o di citazione. Non a caso
Verdi affermò che il luogo più adatto
per rappresentare la sua nuova opera non
fosse più il Teatro alla Scala ma la Villa
Sant’Agata. Irresistibili a questo proposito
sono le ironiche autocitazioni come
«Povera donna!» di Mrs. Quickly (che
rinvia alla Traviata) oppure «Immenso
Falstaff» di Bardolfo e Pistola (che fa il
verso al celebre coro dell’Aida: «Immenso
Fthà»). Mentre l’opera buffa tradizionale
si articola attraverso strutture musicali
almeno in parte indipendenti dall’azione
drammatica, nel Falstaff Verdi sembra
in qualche modo mettere in azione la
musica e sonorizzare le parole. L’opera
attacca infatti come una specie di parodia
della forma-sonata (una forma strumentale,
perdipiù) con tanto di primo tema,
secondo tema e sviluppo. Una parodia
che ha un riscontro anche sul piano verbale:
«Ecco la mia risposta», quando incomincia
il secondo tema «Non è finita!»
all’inizio dello sviluppo. Che il compositore
volesse anche prendere in giro il
“sinfonismo” dei giovani compositori italiani?
La distanza dalla tradizione melodrammatica
ottocentesca emerge anche
nella scrittura vocale e nel rapporto tra il
canto e l’orchestra. La voce non è più la
dominatrice assoluta e anzi, depurata d’ogni
gesto stentoreo, viene integrata il più
possibile nel tessuto orchestrale. Certo, resta
il potente monologo di Ford,ma esso è
appunto una sorta di citazione, di parodia
del melodrammatico baritono geloso. Per
quanto riguarda la sonorizzazione delle
parole, va detto che i pochi temi ricorrenti
che si trovano nel Falstaff hanno tutti origine
da un elemento verbale: «Dalle due
alle tre», «Te lo cornifico» ecc. Viene in
mente una lettera in cui Verdi, lodando
Il barbiere di Siviglia, cita la frase di Figaro
«Signor giudizio, per carità», definendola
«né melodia né armonia… ma la
parola declamata giusta vera!».
Dunque Verdi, di cui tutti conoscono la
passione shakespeariana, realizza la sua
ultima opera con il librettista Arrigo Boito
che ebbe un ruolo assai rilevante nell’ultima
fase della parabola creativa verdiana:
con Boito, il compositore rimise
mano al Simon Boccanegra nel 1880 e
scrisse l’Otello nel 1887. La parte di Falstaff
venne interpretata dal baritono francese
che fu il primo Jago: Victor Maurel.
Un artista che detestava cantare, come
avrebbe detto Verdi, per fare la «voce
grossa». Scrivendo a Boito a proposito di
Jago (ma lo stesso si potrebbe dire anche
di Falstaff), Verdi afferma: «È cosa curiosa!
La parte di Jago, salvo qualche éclats,
si potrebbe cantare tutta a mezza voce!».
Durante la gestazione del Falstaff, egli
scrive a Ricordi per avvertirlo che vorrà
dedicare una particolare assiduità alle
prove al cembalo dato che la sua nuova
opera «bisognerà cantarla diversamente
dalle altre opere comiche moderne, o dalle
opere buffe antiche. […] I nostri cantanti
non sanno fare in generale che la
voce grossa; non hanno elasticità di voce,
né sillabazione chiara e facile, e mancano
d’accento e di fiato». Come si vede,Verdi
si distacca dalla tradizione melodrammatica
di cui è stato peraltro un assoluto
protagonista e si riferisce ad essa, semmai,
ironicamente. Il Falstaff è in un certo
senso un’opera postuma. La spinta al comico
dimostrata dal compositore in opere
come Un ballo in maschera o nel Fra Melitone
della Forza del destino è certo un
presupposto importante; né va dimenticato
quanto Verdi scrisse al Monaldi (3 dicembre
1890): «Sono quarant’anni che
desidero scrivere un’opera comica, e sono
cinquant’anni che conosco Le allegre comari
di Windsor». Ma la vis del Falstaff è
più ironica che comica. Ed è piena di malinconia.
Quando andò in scena alla Scala
il 9 febbraio 1893, tutti sapevano che il
Falstaff sarebbe stata l’ultima opera di
Verdi. Nel congedare la partitura a Ricordi,
alla fine del 1892, avviandosi ormai
verso il traguardo degli ottant’anni, il
compositore allegò alla sua ultima fatica
questo appassionato, melanconico e
struggente biglietto di commiato: «Le ultime
note del Falstaff Tutto è finito! Va,
va vecchio John… Cammina per la tua
via, finché tu puoi… Divertente tipo di
briccone; eternamente vero, sotto maschere
diverse, in ogni tempo, in ogni luogo!
Va… Va… Cammina cammina… Addio!!!