versi, prosa e musica di Raffaele Viviani
con Geppy Gleijeses, Lello Arena, Marianella Bargilli
e con Daniele Russo, Gigi De Luca, Gina Perna, Angela De Matteo, Luciano D’Amico, Gianni Cannavacciuolo, Gino De Luca, Antonietta D’Angelo, Giusy Mellace, Salvatore Cardone, Antonio Roma, Aniello Palomba, Eduardo Robbio
scene Pierpaolo Bisleri
light designer Gigi Ascione
costumi Adele Bargilli
orchestrazione e direzione musicale Guido Ruggeri
regia Geppy Gleijeses
produzione Teatro Stabile di Calabria, Teatro Quirino Vittorio Gassman
A Santa Lucia (il titolo originale è Santa Lucia nova) è una commedia con musiche in due atti di Raffaele Viviani praticamente inedita: l’autore fu l’ultimo a metterla in scena nel 1943, ma insieme a Osteria di campagna. L’azione si svolge a Borgo Marinari (l’isolotto su cui si erge Castel dell’Ovo, legato a Via Caracciolo da un lembo di terra) e più precisamente al Ristorante Starita nel 1919. È una Napoli postbellica, piagata e impoverita, ma è anche la Napoli del Cafè-Chantant, del primo Varietà, dell’Avanspettacolo. Dopo Teatro, verso l’una di notte, nobili spiantati, viveur, cocotte, cocainomani, cafoni arricchiti, poeti squattrinati cenano da “Starita”, locale alla moda della Napoli notturna e lì si incontrano e si scontrano con il mondo dei luciani, gli abitanti di Santa Lucia, mitico quartiere marinaro a ridosso di Via Caracciolo, popolatori uomini e donne di straordinaria dignità, “fermi come lo scoglio, il mare li corrode, li distrugge, ma non li smuove”, “’nzuvarate ‘e mare”. Sono l’ostricaro, la venditrice di spighe, l’acquaiola, il barcaiolo, figure leggendarie della Napoli che fu. In questo straordinario affresco en plein air i ritratti delle singole figurette spiccano con una forza micidiale e restano stagliati nel ricordo. Il filo conduttore della storia è l’incontro fisico e sensuale di Fanny, mondana bellissima e capricciosa e Jennaro, il barcaiolo, lo scugnizzo.
Questo spettacolo è costruito letteralmente sull’acqua, sul molo dove sorge Starita. Il limitare del proscenio consentirà allo spettatore quasi di toccare il mare, sotto la luna di Santa Lucia.
Questo testo sorprendente e sconosciuto consentirà al pubblico e alla critica di scoprire un vero gioiello della drammaturgia di Viviani. Il linguaggio è suddiviso tra l’italiano dei borghesi napoletani e il gergo dei luciani assolutamente comprensibile.
A dirigere lo spettacolo Geppy Gleijeses già regista e protagonista nel 2000 di Don Giacinto di Viviani per il quale Franco Quadri titolò: “Un miracolo”. Scene e costumi di Pierpaolo Bisleri, luci di Gigi Ascione, musiche orchestrate e dirette da Guido Ruggeri.
A interpretarlo un cast importante con Geppy Gleijeses, Lello Arena, Marianella Bargilli, Daniele Russo, Gigi De Luca, Angela De Matteo, Gianni Cannavacciuolo, Gina Perna, Gino De Luca, Luciano D’Amico, Antonietta D’Angelo, Giusy Mellace, Antonio Roma.
Note di regia
Ma Viviani era conscio della grandezza e dell’universalità del suo teatro? Me lo sono sempre chiesto. Anche se la risposta è ovvia: no. E comunque non sapeva certo che la sua opera sarebbe diventata col tempo oggetto di culto. In realtà la sua opera è in buona parte sconosciuta: Viviani è stato pubblicato per la prima volta solo sette anni dopo la sua morte e poi, la sua opera completa, trentasette anni dopo. E ancora oggi l’élite conosce solo “La musica dei ciechi”, “Pescatori”, “Zingari” e pochi altri titoli. Viviani era analfabeta, aveva dinanzi a lui “tabula rasa” ed era un genio. Capita così che per inquadrare i suoi poveri numeri d’avanspettacolo, i suoi “tipi”, in una cornice drammaturgica egli si inventi esili fili conduttori, perlopiù “en plain air”, privilegiando il sottoproletariato. Così nascono le sue composizioni in “versi, prosa e musiche”. Vengono definite commedie, ma non sono commedie. Sono una entità nuova, indefinibile, come la soluzione di un problema matematico che resiste da secoli, sono il risultato di una necessità “alimentare”. E sono capolavori assoluti. Ecco “Il vicolo”, “Caffè di notte e giorno”, “Scalo Marittimo”, “Piazza Ferrovia”, “Vetturini da nolo”, ecc. Come se ciò non bastasse, Viviani ci mette la musica, che lui non conosceva, fischiettava ad un maestro che poi scriveva e orchestrava. E così nascono meraviglie musicali come “La rumba degli scugnizzi”, “Canzone ‘e sott’ ‘o carcere”, “Avvertimento“, “Bammenella”, ecc. Incredibile! In effetti le sonorità e gli strumenti prediletti sembrano quelli di Weill e Eisler e, in qualche caso, per tematica e struttura, la drammaturgia riporta a Brecht. Ma sono paragoni limitativi. In Viviani c’è Petrolini, c’è l’avanspettacolo, c’è il futuro Eduardo (nel nostro spettacolo abbiamo inserito il “Magnettizzatore” che è il papà di “Sik Sik”). Ma c’è soprattutto il pianeta Viviani, gigantesco e unico oltre che ancora poco conosciuto.
“A Santa Lucia” è uno di questi capolavori di strada, almeno nel primo atto. L’incontro-scontro tra due classi sociali, il ceto “alto” composto da cocottes, nobili di provincia, poeti scapigliati, viveur, cocainomani, signore sole alla ricerca di avventure e il ceto “basso” dei “Luciani”, gli abitanti di Santa Lucia, l’ostricaro, il barcaiolo, la spigaiola, l’acquafrescaia, il mendicante, poveri ma dignitosi, cozze di scoglio, carni arrostite dal sole, dediti al culto della Santa adorata più di una Madonna. Li accomunano due battute: il mendicante, “Comm’ è scucciante ‘a vita!” e Bebè, il cocainomane, “E così viene assopita la miseria della vita”. Siamo nel 1919! Se questo non è un genio … Con una materia così incandescente e poliforme ho cercato di creare un’atmosfera. L’incanto del mare di notte, la meraviglia del Borgo Marinari, la languidezza della sera d’aprile. Una mondana d’alto bordo e il barcaiolo si incontrano, si piacciono, forse si innamorano. Ma no, questo non gli è concesso. Le classi non sono permeabili e l’amore è un lieto fine che Viviani non si concede. Le sue sono risate amare, sguardi pietosi, graffi rabbiosi. Viviani non è mai consolatorio. Abbiamo cercato di interpretarlo anche perché, vivaddio, almeno lui non si può imitare e comunque non avrebbe gradito. Bisogna pensarlo oggi, nella sua straordinaria attualità. Il secondo atto ambientato a Chiatamone è ancora più lunare e sorprendente. Senza grandi sforzi, sfocando la patina ninfomane di Fanny e la buffoneria di Jennariello, viene fuori una scena di incomunicabilità sentimentale degna del miglior Pinter o del Sartre di “Porte chiuse”. Mi sono giovato, in questo lavoro difficile e ammaliante, della mia magnifica compagnia abituale, con l’aiuto e le intuizioni di Lello e Marianella, l’innesto di attori giovani e splendidi come Daniele Russo e Angela De Matteo, il ritorno di Gigi De Luca e l’apporto straordinario di tutti i collaboratori artistici e tecnici.
Credo proprio che la “Miniera Viviani” abbia in serbo ancora tante sorprese. Speriamo che presto qualcuno troverà qualche altro diamante e che sappia riconoscerlo, ripulirlo e “tagliarlo”!
Geppy Gleijeses