Per mettere in scena questo spettacolo Moni Ovadia prende spunto da “Racconti di Odessa” dello scrittore Isacc Babel che Ovadia definisce “Il genio della letteratura ebraico-sovietica”. Dunque protagonista di questa pièce (siamo all’inizio del xx secolo) è la città di Odessa perla del mar Nero, porto e angiporto dove un melting pot di razze, religioni, culture diverse riuscivano a convivere grazie a una tradizione cosmopolita. Protagonista è la gente che viene raccontata nelle varie sfaccettature, dalla furbizia malavitosa, alla tolleranza, alla voglia di vivere anche a prescindere dai codici morali. Una galleria di personaggi la cui filosofia di vita è impastata di profonda umanità. Con il sole che dà calore e sveglia i sensi, il mare che è fonte di vita, il temperamento accomodante e lo spirito ironico degli abitanti, Odessa si può paragonare a una Napoli ebraica del meridione slavo.
In questo contesto Moni Ovadia con le musiche, le canzoni, gli aneddoti e le storielle e con istrionica versatilità sollecita l’intelligenza e stimola l’empatia viscerale degli spettatori. Uno spettacolo che vive di un’alternanza continua di toni e di registri linguistici, dal canto alla musica, dalla lettura al racconto con una gestualità che rende talvolta ancillare la parola.
Ma la vera sorpresa è stata l’eccezionale bravura dei musicisti, Pavel Vernikov, grande e famoso violinista classico (che si svela anche intelligente e divertente attore), la brava violinista Svetlana Makarova e Pavel Kachnov al pianoforte. Ma a parte il virtuosismo di questi strumentisti esibito in difficili repertori di musica classica (Shostacovich) sono le musiche, le ballate della “mala” che la voce scura, con sfumature e sonorità espressive di Moni hanno emozionato e entusiasmato gli spettatori rendendo marginale (anzi inutile) la comprensione letterale dei testi.
Inutile perdersi nella ricerca di parole adeguate, meglio leggere quel che dice lo stesso Ovadia: “Adesso Odessa” è un viaggio di suoni, canti e parole nel mondo picaresco, poetico e ribaldo di una città unica che i cittadini chiamano Mamma”.